«Frattocchie 2.0» Renzi rilancia la scuola di partito
Da Torino l’ex premier lancia la corsa alla segreteria Pd: «Facciamo tesoro degli errori»
Renzi prova a ripartire dal Lingotto, dove ieri è cominciata la tre giorni renziana in vista del congresso Pd, e dal «noi» (una delle parole più ripetute ieri dall’ex premier). «Facciamo tesoro degli errori», ha detto Renzi, che ha lanciato l’idea di una scuola di partito per formare 200 nuovi dirigenti Pd.
Il Lingotto non è la Leopolda. Non è solo una questione di estetica, ma di forma e contenuti. Lo si capisce entrando nel fu quartier generale della Fiat, oggi maxi centro commerciale e congressi. Basta un’occhiata veloce anche per capire che è diversa pure la platea. Meno pop, meno tacchi dodici. Meno entusiasmo e più consapevolezza che stavolta la partita è davvero difficile. I toni sono decisamente più bassi. Sul palco non c’è la ministra, oggi sottosegretaria, Maria Elena Boschi. E non ci sono le giacchette fucsia e le scarpe leopardate. Al fianco di Matteo Renzi, stavolta, c’è Maurizio Martina, ministro delle Politiche agricole, ma soprattutto uomo di sinistra, quella parte che troppo spesso è mancata al segretario dimissionario. E che ora, specie dopo la scissione, va recuperata almeno in parte. «C’è la necessità di maggiore collegialità», ammette Renzi.
A Torino ci sono facce diverse, ma l’organizzazione dell’evento Renzi l’ha ridata in mano al fiorentino (e fidatissimo) Massimo Gramigni. E dal Lingotto, dopo che la Leopolda era servita per aggredire politicamente il «vecchio» e conquistare il potere, adesso Renzi deve ripartire dopo il 4 dicembre. È un Renzi diverso quello che sale sul palco per ufficializzare la sua candidatura alle primarie del Pd, fissate per il 30 aprile. «Tornare a casa, per ripartire insieme», è lo slogan della tre giorni che si concluderà domani. «Insieme» e «noi» sono le parole che Renzi, quasi sempre «uomo solo al comando», utilizza più spesso per recuperare lo spirito di gruppo e riaccendere la mobilitazione dal basso, quella della gente che poco o niente si interessava di politica, ma che è stata decisiva per arrivare a Palazzo Chigi bruciando le tappe. Al Lingotto Walter Veltroni (l’anima diessina) aveva battezzato e lanciato il Pd. Renzi, prima di partire con il mantra della rottamazione, non era stato tenero con la gestione Veltroni, senza mai chiamarlo in causa direttamente, ma definendo «vicedisastro» Dario Franceschini (l’anima cattolica del partito), ai tempi vice segretario del partito. Sono passati dieci anni, ma a Renzi quella «rottamazione» del vecchio non l’ha completata. «Abbiamo tre compiti: offrire una visione dell’Italia per i prossimi 10 anni, una classe dirigente non improvvisata, alimentare una speranza nei nostri cittadini perché la paura non sia il tema dominante», dice. Forse anche per costruire la nuova classe politica lancia l’idea delle «Frattocchie 2.0», una scuola di partito che «duri nove mesi e formi 200 dirigenti» e la nuova piattaforma web del partito Bob. «Come Bob Kennedy». Un mito veltroniano ma, avverte Renzi, niente nostalgie. «Il Lingotto è il luogo della tradizione operaia, ma anche il luogo del Pd», dice infatti. «Ma noi non siamo in un luogo della nostalgia: siamo qui per rivendicare il domani». «Dobbiamo ripartire dopo il brusco stop del referendum ma anche rispetto al post referendum — dice Renzi — Sembra che qualcuno sogni di riportare indietro le lancette della storia. Ma noi abbiamo la responsabilità di fare tesoro degli errori, rilanciare sugli ideali e i contenuti e restituire una speranza al Paese». E alcuni importanti errori li ammette lui stesso: «Alcune delle riforme che abbiamo fatto non hanno funzionato. A cominciare dalla quella della scuola».
Siamo nel luogo della tradizione operaia e del nostro partito, ma niente nostalgie: siamo qui per rivendicare il domani