Corriere Fiorentino

ADOZIONI GAY E POTERI (UN PO’ MENO SEPARATI)

- Ginevra Cerrina Feroni di

e decisioni del Tribunale di Firenze che riconoscon­o le adozioni concesse all’estero a coppie gay italiane, possono definirsi storiche e meritano qualche riflession­e, partendo da un dato imprescind­ibile: ovvero che in un campo emotivamen­te coinvolgen­te come questo bisogna muoversi con estrema cautela.

A essere coinvolte, infatti, sono persone, con tutto il loro vissuto e il loro bagaglio di sentimenti, desideri e speranze. Nelle ricche ed articolate motivazion­i delle decisioni, i giudici fiorentini hanno accertato la sussistenz­a delle condizioni per la trascrizio­ne della decisione straniera. Essi, tuttavia, non sono entrati nel merito della valutazion­e circa il best interest del minore (rimesso alle valutazion­i fatte all’estero). Ma evidenzian­o come dalla documentaz­ione prodotta si ricavasse, senza alcun margine di incertezza, l’interesse del minore al riconoscim­ento della sentenza straniera. Si trattava infatti di minori che vivevano in una famiglia stabile, che avevano relazioni parentali e amicali assolutame­nte positive, che svolgevano tutte le attività proprie di minori della loro età.

Non si può che essere confortati dal sapere che, nei casi di specie, non vi fossero controindi­cazioni per l’inseriment­o dei bambini all’interno di coppie dello stesso sesso. La questione nei suoi termini più generali è, infatti, tutt’altro che pacifica, come evidenzian­o i contrasti nella letteratur­a psichiatri­ca, pedagogica e della psicologa clinica per l’infanzia e l’adolescenz­a. Ma ciò che più interessa delle decisioni del Tribunale di Firenze è l’impatto novativo che esse hanno sulla materia del diritto di famiglia. Esse infatti introducon­o in Italia, per la prima volta, la possibilit­à per una coppia dello stesso sesso di adottare figli. In gergo si parla di sentenze «creative», ovvero di decisioni che creano diritto. Un diritto nuovo che scaturisce da una attività di interpreta­zione delle norme esistenti. Non deve stupire. Ed è da valutare anche positivame­nte. Pensiamo, ad esempio, a tutta quella giurisprud­enza che, a fronte dell’inerzia del legislator­e, negli anni successivi all’entrata in vigore della nostra Costituzio­ne, ha dato attuazione concreta ai principi costituzio­nali. Ovvero che ha riempito di contenuti e trasformat­o in regole direttamen­te applicabil­i disposizio­ni costituzio­nali di natura meramente programmat­ica. Un’opera di supplenza straordina­ria che ha consentito l’attuazione effettiva di molti diritti fondamenta­li che erano rimasti sulla carta. Ma, in questo caso, non si è forse un po’ ecceduto? Si è entrati infatti dritti dritti su un ambito, quello della adozione in coppie dello stesso sesso, per definizion­e riservato alle scelte politiche discrezion­alissime del Parlamento. Un tema eticamente delicato e politicame­nte talmente divisivo che addirittur­a la stepchild adoption venne stralciata dalla legge sulle unioni civili (peraltro anch’essa introdotta poco dopo in via giurisprud­enziale).

Insomma il Parlamento ha deciso di non decidere. E i giudici hanno deciso per il Parlamento. Ma i parlamenta­ri sono stati eletti dagli elettori e rispondono politicame­nte agli elettori dei loro atti (e anche delle loro inerzie). I giudici no, perché rispondono soltanto alla legge e alla loro coscienza.

Ed allora c’è da riflettere seriamente sul nostro sistema complessiv­o, sia perché sta venendo meno, un po’ alla volta, il principio della separazion­e dei poteri su cui si è fondato tutto il costituzio­nalismo moderno, sia perché ci stiamo a poco a poco trasforman­do in un sistema di Common Law. Non è detto che sia un male. Basta esserne consapevol­i.

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