TeleBellocchio
Il regista all’Alfieri con «Fai bei sogni»: ora farei la tv
In quelle pagine il personaggio della madre è descritto come mai prima d’ora
Oltre la vita di Massimo Gramellini per come lui l’ha raccontata. Oltre la Torino anni Sessanta, lo stadio Comunale e Belfagor in televisione; poi il giornalismo, il dramma di Sarajevo. In Fai bei sogni Marco Bellocchio ha trovato «la commozione e l’emozione intrecciate di ricordi ed esperienze da I Pugni in tasca — il film che lo fece conoscere al grande pubblico nel 1965, ndr — al libro Cuore, ma anche Giovanni Pascoli e un’immagine, un’idea del personaggio della madre descritta come mai prima d’ora». Si comincia da qui. Da una serie di dettagli. Sentimenti, piccoli ricordi che portano un maestro del cinema italiano come Marco Bellocchio dai sogni a occhi aperti con un libro in mano, in questo caso Fai bei sogni di Gramellini (Longanesi), alla realizzazione di un film. Film che apre la terza edizione della rassegna «Scelti dalla critica» allo Spazio Alfieri, curata dal gruppo toscano del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici: sette film scelti fra i migliori dell’anno. Il 14 marzo alle 21.30 si parte proprio con Bellocchio a colloquio con Claudio Carabba e Marco Luceri e la proiezione della pellicola interpretata da Valerio Mastandrea. A due settimane dalla cerimonia dei David di Donatello, Bellocchio è candidato sia per il miglior film che per la miglior regia. Sarebbe la sua quarta statuetta in carriera.
Maestro Bellocchio, che rapporto ha lei con i premi?
«La mia opinione l’ho espressa in un altro film, Il regista di matrimoni in cui Sergio Castellitto interpreta un regista che finge la sua morte contando che la pietà cattolica della giuria possa facilitarlo nell’ottenere il premio che poi non otterrà. Ecco, diciamo che se accadesse ne sarei contento. Altrimenti nessuna crisi depressiva».
Ecco un aspetto interessante del suo modo di fare cinema: partire da esperienze personali, trasfigurarle, strapparle via dalla realtà...
«Mi piace trasformare attraverso l’immaginazione ciò che mi passa sotto gli occhi. Ma prima di tutto si parte da un’immagine base, dalla ricerca di un sentimento familiare».
A voler «psicanalizzare» i suoi film si potrebbe dire che questo sentimento di base è spesso la disillusione.
«Direi un tentativo sincero di trasformazione: dove c’è movimento, anche trascurando la fedeltà della storia, la mia immaginazione si interessa e si concentra. Non mi piacciono le storie frontalmente tragiche. Chiamala speranza, o vitalità. Quando mi proposero un film sul rapimento Moro, risposi che lo avrei fatto volentieri se avessi potuto “tradire” la storia, inventare contraddizioni all’interno del gruppo brigatista probabilmente mai avvenute. Così è nato Buongiorno, notte. Perché ciò che è ineluttabile non mi interessa mai».
A proposito di ineluttabilità, cinque anni fa lei girò «Bella addormentata», film molto duro e sofferto sul caso Eluana Englaro. Oggi si torna a parlare di eutanasia per Dj Fabo. Cosa prova a vedere il Paese fermo su questi temi?
«Quel film aveva caratteri di ineluttabilità solo nel tema. Parlavamo di una ragazza, Eluana, che per quanto mi riguarda era morta da 17 anni. Oggi per fortuna mi pare che qualcosa si stia aprendo: all’epoca addirittura il capo di governo — Berlusconi — con il massimo del cinismo, al solo scopo di compiacere il Vaticano, varò in tutta fretta una legge per bloccare la sospensione della nutrizione artificiale. Oggi credo non accadrebbe».
Lei che è da sempre impegnato a sinistra, come vive questa stagione di scissioni?
«Non da disilluso ma da disinteressato».
Per questo si è fatto sedurre dalla novità 5 Stelle?
«Non mi sono fatto sedurre ma ho votato Virginia Raggi. Ha fatto molti errori, forse ha bisogno di più tempo, ma allora era comunque l’unica a brillare rispetto a tutti gli altri. Certo, di entusiasmi ne ha dati pochi».
Da poco è scomparso lo psicanalista Massimo Fagioli. Eravate amici e avete collaborato in tre film.
«È una di quelle perdite che si misurano nel tempo. Da diversi anni non andavo più ai suoi seminari e tra noi c’erano stati contrasti. Ma nel tempo passato vicino a lui ho trovato risposte importanti, profonde. La sua intransigenza gli ha portato molti nemici che lo hanno attaccato più sul piano personale che scientifico. Sono sicuro che col tempo si imporrà una sua riscoperta anche al di fuori del movimento. Ma non credendo nell’Aldilà, la cosa importa poco a entrambi».
Molti autori di cinema, prima in America, ora anche Sorrentino, si stanno spostando verso la tv. Lei ci sta pensando?
«Come tutte le grandi rivoluzioni, come è accaduto anche nel passaggio dal teatro al cinema, gli artisti si convertono ai nuovi linguaggi. La serialità è la nuova frontiera e i mezzi espressivi si adeguano se c’è esigenza di raccontare. E noto che la qualità del linguaggio, racconto, montaggio, cura delle immagini, soprattutto nel mercato americano, portino sempre più la serialità televisiva ad assomigliare al cinema, in senso positivo. Quindi sì, se si dovessero presentare situazioni concrete, non mi tirerei indietro».