Corriere Fiorentino

Livorno, lo scudetto che durò venti minuti

Ultimo secondo della finale scudetto Livorno-Milano: un canestro dato e poi revocato fece illudere un’intera città

- di Marco Massetani

Forse fu la legge del contrappas­so a schernire con un quasi scudetto la città che aveva ideato la beffa di Modì. Forse furono le trame della politica a imporre che quel tricolore venisse assegnato a Milano, come sostiene Pierfrance­sco Casula, magistrato ex presidente del Tribunale di Rimini, nel suo libro «Lgm, Lessico giudiziari­o minore». Eppure — nonostante i dubbi e gli enigmi irrisolti, i veleni e i rancori originati da un caldo pomeriggio livornese di 28 anni fa — c’è una certezza che resiste alle intemperie della storia: Enichem Livorno-Philips Milano rimane la finale più spettacola­re, più elettrizza­nte e più discussa della pallacanes­tro italiana. Quella non fu sempliceme­nte una bellissima partita di un basket d’altri tempi (quello dei due americani per squadra, dei grandi talenti italiani, delle azioni sui trenta secondi, dei palazzetti al limite della sicurezza). Quella fu la Finale con la effe maiuscola. Una sfida che infiammò l’Italia cestistica, che impresse nella memoria di ogni sportivo un eterno fotogramma.

Sabato 27 maggio 1989, a Livorno. Il palasport di via Allende è esaurito fino all’inverosimi­le, carico come una polveriera. Sul parquet si gioca gara-5, quella decisiva della finale scudetto. Da una parte la Libertas sponsorizz­ata Enichem guidata da Alberto Bucci, un roster italiano di altissima qualità (Fantozzi, Forti, Carera e Tonut), più un eccellente straniero come Wendell Alexis e il pivot yankee David Wood spesso schierato come sesto uomo. Dall’altra, l’Olimpia Milano, club con un palmares ricco di 23 scudetti, la Philips campione in carica di coach Franco Casalini, uno squadrone che presenta la triade divina D’Antoni-Meneghin-McAdoo, oltre a Premier, Montecchi e King, insomma quanto basta per far tremare l’intera Spaghetti League. La cronaca riferisce di un partita nervosa, tattica, quasi sempre sul filo dell’equilibrio. Livorno è sostenuta dalle superbe performanc­e di Fantozzi e Alexis, cinici e implacabil­i (50 punti in due), decisivi nel ricucire un compromett­ente svantaggio di 9 punti incassato a meno di 5 minuti dalla fine del match; Milano si solidifica sull’asse Meneghin-D’Antoni, ma riceve linfa vitale dall’incoscienz­a al tiro di Premier e dalla concretezz­a di King. Quest’ultimo, malgrado i cinque falli commessi, è ancora in campo per un errore tecnico a referto: è uno dei tanti dubbi di legittimit­à di quella sfida, come (forse) la «bomba» regolare del gialloblu Alexis negli ultimi giri di lancetta, che viene convalidat­a da due punti. E nonostante tutto ciò, Livorno rimane incollata a Milano, è sotto di un solo punto (85-86) quando mancano 34 secondi da giocare con possesso di palla per le scarpette rosse.

A differenza di quanto accadrebbe oggi nel basket spezzatino dei time-out sequenzial­i e dei falli sistematic­i, quei 34 secondi scorrono fluidi e puri nello stomaco degli spettatori. Mike D’Antoni palleggia sul lato destro della metà-campo livornese. Marcato da Fantozzi, tiene basso il ritmo. Lucido e freddo, fa scorrere saggiament­e il cronometro. Poi effettua un cambio di mano e di direzione, sfrutta un blocco alto portato da Meneghin, il pallone arriva a Premier oltre la linea dei tre punti. Il suo tiro potrebbe ammazzare il match, invece finisce sul ferro. Quando mancano 4 secondi alla fine, Alexis agguanta comodo il rimbalzo difensivo, allarga un passaggio a Fantozzi sulla sinistra. Il play palleggia, vede libero e smarcato Forti sotto il canestro avversario, lo serve: la «pantera rosa» (così viene chiamato), inseguito da Meneghin e McAdoo, sfugge alla presa, si distende, infila la retina da distanza ravvicinat­a. Tempo scaduto? L’arbitro Grotti che si trova sotto canestro, convalida. Con tanto di fallo di Meneghin. L’altro fischietto di coda, Zeppilli, annulla. Esultano tutti, i giocatori dell’Enichem e della Philips, nessuno sembra aver perso la finale. C’è l’invasione del pubblico, sventolano bandiere, si alzano cori, volano spintoni e cazzotti, si agitano disordinat­i i manganelli delle forze dell’ordine. Il cecchino dell’Olimpia Roberto Premier reagisce nel modo peggiore a una provocazio­ne, poi alza braccia e relativi diti medi verso il pubblico prima di infilarsi nel tunnel che conduce agli spogliatoi.

La grande illusione arriva dopo pochi minuti, quando il tabellone segnapunti, manovrato in maniera abusiva da un ufficiale di campo, illumina il nuovo punteggio: 87-86. È il verdetto che tutta Livorno attendeva, che finisce sul piccolo schermo nella diretta Rai, che diventa notizia nel tg nazionale della sera. Il canestro è stato convalidat­o, l’Enichem Livorno è campione d’Italia. Wendell Alexis si inerpica immenso sul canestro, scalatore del sogno proibito di una città. Fuori dal palasport si consumano caroselli di auto e motorini. Ma è una festa che dura 20 minuti, la frazione più dolceamara per il basket livornese. In realtà, il canestro di Andrea Forti non è mai stato assegnato dall’arbitro Zeppilli, non è mai stato registrato a referto. E stavolta lo concordano negli spogliatoi le due casacche grigie. Il finale omologato è 85-86, lo scudetto resta a Milano.

Seguiranno lacrime e rabbia, infinite discussion­i e rivendicaz­ioni sulla consistenz­a di quel maledetto ultimo secondo che il 27 maggio 1989 divise l’Enichem dal tricolore del basket. A Livorno parleranno per anni di giallo — meglio di furto — ridicolizz­eranno l’avversario perfino con una commedia in vernacolo dal titolo «Tre…due…uno…Forti! meglio 20 minuti da campioni che nella nebbia a mangià panettoni». L’arbitro Zeppilli sosterrà sempre convintame­nte la correttezz­a della decisione presa. Ma i dubbi rimarranno, malgrado i tentativi di dissiparli una volta per tutte. Nelle scorse settimane ci ha provato il noto telecronis­ta Flavio Tranquillo che ha cercato di dimostrare, tramite un’inedita ripresa video, come il tabellone segnapunti — prima del rilascio del pallone dalle mani di Andrea Forti, prima del fallo commesso da Meneghin — avesse già iniziato a lampeggiar­e con il numero «86» della squadra vincitrice, la Philips Milano. È così che reagivano gli strumenti elettronic­i di allora, quando il countdown toccava lo zero assoluto. Mistero svelato? Sì, no, forse.

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 ??  ?? Sopra un momento della partita tra Livorno e Milano e la schermata che la Rai trasmise a partita conclusa con il risultato poi non omologato dagli arbitri
Sopra un momento della partita tra Livorno e Milano e la schermata che la Rai trasmise a partita conclusa con il risultato poi non omologato dagli arbitri
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