Stranieri d’Italia
Il made in Italy tiene solo grazie alle imprese artigiane guidate da cittadini esteri, che ormai sono più della metà del totale. Perché? I nostri maestri invecchiano e il passaggio generazionale non sempre riesce. Ma c’entrano anche i prezzi bassi imposti
Made in Italy, ma parla straniero: le imprese artigiane della moda, fiore all’occhiello del sistema produttivo toscano, che lavorano per conto delle grandi griffe del lusso, sono guidate per la maggior parte da piccoli imprenditori stranieri. Il sorpasso è avvenuto nel corso degli anni Duemila: secondo uno studio di Cna Federmoda Toscana, oggi il 50,7% delle imprese artigiane della moda è a guida straniera, il 49,2% è in mano agli italiani. Analizzando le imprese artigiane in generale, la percentuale si ribalta: l’80,2% delle aziende è a guida italiana, il 19,7% a guida straniera. «L’analisi quantitativa che abbiamo svolto mostra come il settore della moda regga solo grazie alle imprese artigiane a titolarità straniera», dicono da Cna. Durante gli anni della crisi molte piccole aziende hanno chiuso e la dinamica negativa ha riguardato il comparto della moda più dell’artigianato toscano in generale: il saldo torna positivo solo nelle aree di produzione presidiate da piccoli imprenditori stranieri. Pelle e confezioni sono in crescita a fronte del declino di tessile, maglieria e calzature. «Il fenomeno dell’imprenditorialità straniera è stato in grado di portare la dinamica dell’artigianato su valori positivi nei settori dove è presente significativamente e di generare quel ricambio generazionale senza il quale vi sarebbe il declino — spiega Cna nello studio — Di fatto nella moda è avvenuto il sorpasso dell’impresa artigiana straniera su quella italiana. Questa tendenza deve far riflettere sui problemi legati all’età anagrafica degli artigiani italiani, alla urgente necessità di investire nei giovani, siano essi dipendenti o titolari, al recupero del saper fare: nella moda artigiana ci sono spazi di lavoro e di impresa ed è quanto mai necessario un apporto di risorse umane giovani e con una prospettiva a lungo termine».
In altre parole, i maestri artigiani invecchiano e gli italiani mostrano di non essere capaci di affrontare il passaggio generazionale con risultati positivi: negli spazi di produzione e di mercato lasciati liberi dagli italiani, si inseriscono con successo gi stranieri. Eppure nel settore della moda (quella di lusso, ovviamente) ci sono spazi di lavoro e di impresa, come dimostra il fatto che le grandi griffe della pelletteria e dell’abbigliamento continuano a investire in Toscana. E lo dimostrano anche le attese delle stesse imprese artigiane, un quarto delle quali si attende nel mediolungo termine un incremento dei propri ricavi. Una contraddizione che la Cna definisce «assurda, che penalizza il lavoro e il futuro di una intera generazione».
Gli artigiani, che prevalentemente lavorano per conto terzi, spesso «mollano» a causa di un insieme di fattori problematici, divenuti ormai «cronici»: il primo è rappresentato dalla monocommittenza (essere legati alle commesse di un unico datore di lavoro espone ad un rischio altissimo nel caso in cui questo entri in crisi), subito seguito dai compensi bassi per i prodotti forniti (basti pensare che per produrre una borsa di alta gamma, venduta nelle vie del lusso di mezzo mondo a cifre che sfiorano i mille euro, un maestro artigiano riceve circa 50 euro).
Gli artigiani toscani del lusso sono quindi una razza in via d’estinzione? No, se si inverte subito la rotta. «Siamo in un momento di trasformazione, più che di crisi generalizzata — spiega Cna Federmoda — Vanno superati problemi vecchi insieme alle più recenti difficoltà dovute al mercato e alla riorganizzazione complessiva dei processi produttivi. Queste dinamiche hanno alzato l’asticella per le imprese che vogliono rimanere competitive e in salute».
I primi due pilastri dai quali ripartire sono la diversificazione e l’efficienza: ovvero, bisogna sganciarsi dalla monocommittenza e investire. Il ritratto dell’artigiano che può farcela è quello di un piccolo imprenditore che si avvale di personale giovane, macchinari recenti, è attento all’innovazione di prodotto e capace di presidiare nuovi mercati. A monte, però, c’è un problema culturale: «Una quota elevata di imprese — dice l’indagine — ritiene di non aver bisogno di fare nulla di diverso per recuperare quote di mercato».
Per garantire una continuità all’artigianato della moda guidato da imprenditori italiani servono principalmente percorsi tecnico-professionali orientati verso le nuove traiettorie dello sviluppo: questo vale sia per chi produce per conto delle grandi case di moda, sia per chi si dedica alle lavorazioni in proprio. Le opportunità ci sono non soltanto per i giovani lavoratori che abbiano voglia di apprendere il «saper fare» tradizionale, ma anche per figure professionali nuove e fin qui inedite, delle quali gli artigiani hanno bisogno per fare il salto di qualità necessario alla sopravvivenza: è il caso, ad esempio, del temporary designer e del più noto temporary manager che potrebbero aiutare le piccole imprese a creare collezioni e reti di vendita proprie, allentando così il legame con la monocommittenza. Serve innovazione per far sì che la tradizione non si perda. Calzature e borse di lusso, abbigliamento e accessori da passerella parleranno ancora toscano, o saranno semplicemente prodotti in Toscana? Buona parte della risposta dipenderà dalla capacità di innovare i sistemi di educazione e formazione. In questo, la moda non è diversa dagli altri settori produttivi regionali.
Difficoltà C’è un problema di formazione ma anche di prezzi: per una borsa venduta a mille euro un artigiano riceve circa cinquanta euro