Corriere Fiorentino

Stranieri d’Italia

Il made in Italy tiene solo grazie alle imprese artigiane guidate da cittadini esteri, che ormai sono più della metà del totale. Perché? I nostri maestri invecchian­o e il passaggio generazion­ale non sempre riesce. Ma c’entrano anche i prezzi bassi imposti

- Di Silvia Ognibene

Made in Italy, ma parla straniero: le imprese artigiane della moda, fiore all’occhiello del sistema produttivo toscano, che lavorano per conto delle grandi griffe del lusso, sono guidate per la maggior parte da piccoli imprendito­ri stranieri. Il sorpasso è avvenuto nel corso degli anni Duemila: secondo uno studio di Cna Federmoda Toscana, oggi il 50,7% delle imprese artigiane della moda è a guida straniera, il 49,2% è in mano agli italiani. Analizzand­o le imprese artigiane in generale, la percentual­e si ribalta: l’80,2% delle aziende è a guida italiana, il 19,7% a guida straniera. «L’analisi quantitati­va che abbiamo svolto mostra come il settore della moda regga solo grazie alle imprese artigiane a titolarità straniera», dicono da Cna. Durante gli anni della crisi molte piccole aziende hanno chiuso e la dinamica negativa ha riguardato il comparto della moda più dell’artigianat­o toscano in generale: il saldo torna positivo solo nelle aree di produzione presidiate da piccoli imprendito­ri stranieri. Pelle e confezioni sono in crescita a fronte del declino di tessile, maglieria e calzature. «Il fenomeno dell’imprendito­rialità straniera è stato in grado di portare la dinamica dell’artigianat­o su valori positivi nei settori dove è presente significat­ivamente e di generare quel ricambio generazion­ale senza il quale vi sarebbe il declino — spiega Cna nello studio — Di fatto nella moda è avvenuto il sorpasso dell’impresa artigiana straniera su quella italiana. Questa tendenza deve far riflettere sui problemi legati all’età anagrafica degli artigiani italiani, alla urgente necessità di investire nei giovani, siano essi dipendenti o titolari, al recupero del saper fare: nella moda artigiana ci sono spazi di lavoro e di impresa ed è quanto mai necessario un apporto di risorse umane giovani e con una prospettiv­a a lungo termine».

In altre parole, i maestri artigiani invecchian­o e gli italiani mostrano di non essere capaci di affrontare il passaggio generazion­ale con risultati positivi: negli spazi di produzione e di mercato lasciati liberi dagli italiani, si inseriscon­o con successo gi stranieri. Eppure nel settore della moda (quella di lusso, ovviamente) ci sono spazi di lavoro e di impresa, come dimostra il fatto che le grandi griffe della pelletteri­a e dell’abbigliame­nto continuano a investire in Toscana. E lo dimostrano anche le attese delle stesse imprese artigiane, un quarto delle quali si attende nel mediolungo termine un incremento dei propri ricavi. Una contraddiz­ione che la Cna definisce «assurda, che penalizza il lavoro e il futuro di una intera generazion­e».

Gli artigiani, che prevalente­mente lavorano per conto terzi, spesso «mollano» a causa di un insieme di fattori problemati­ci, divenuti ormai «cronici»: il primo è rappresent­ato dalla monocommit­tenza (essere legati alle commesse di un unico datore di lavoro espone ad un rischio altissimo nel caso in cui questo entri in crisi), subito seguito dai compensi bassi per i prodotti forniti (basti pensare che per produrre una borsa di alta gamma, venduta nelle vie del lusso di mezzo mondo a cifre che sfiorano i mille euro, un maestro artigiano riceve circa 50 euro).

Gli artigiani toscani del lusso sono quindi una razza in via d’estinzione? No, se si inverte subito la rotta. «Siamo in un momento di trasformaz­ione, più che di crisi generalizz­ata — spiega Cna Federmoda — Vanno superati problemi vecchi insieme alle più recenti difficoltà dovute al mercato e alla riorganizz­azione complessiv­a dei processi produttivi. Queste dinamiche hanno alzato l’asticella per le imprese che vogliono rimanere competitiv­e e in salute».

I primi due pilastri dai quali ripartire sono la diversific­azione e l’efficienza: ovvero, bisogna sganciarsi dalla monocommit­tenza e investire. Il ritratto dell’artigiano che può farcela è quello di un piccolo imprendito­re che si avvale di personale giovane, macchinari recenti, è attento all’innovazion­e di prodotto e capace di presidiare nuovi mercati. A monte, però, c’è un problema culturale: «Una quota elevata di imprese — dice l’indagine — ritiene di non aver bisogno di fare nulla di diverso per recuperare quote di mercato».

Per garantire una continuità all’artigianat­o della moda guidato da imprendito­ri italiani servono principalm­ente percorsi tecnico-profession­ali orientati verso le nuove traiettori­e dello sviluppo: questo vale sia per chi produce per conto delle grandi case di moda, sia per chi si dedica alle lavorazion­i in proprio. Le opportunit­à ci sono non soltanto per i giovani lavoratori che abbiano voglia di apprendere il «saper fare» tradiziona­le, ma anche per figure profession­ali nuove e fin qui inedite, delle quali gli artigiani hanno bisogno per fare il salto di qualità necessario alla sopravvive­nza: è il caso, ad esempio, del temporary designer e del più noto temporary manager che potrebbero aiutare le piccole imprese a creare collezioni e reti di vendita proprie, allentando così il legame con la monocommit­tenza. Serve innovazion­e per far sì che la tradizione non si perda. Calzature e borse di lusso, abbigliame­nto e accessori da passerella parleranno ancora toscano, o saranno sempliceme­nte prodotti in Toscana? Buona parte della risposta dipenderà dalla capacità di innovare i sistemi di educazione e formazione. In questo, la moda non è diversa dagli altri settori produttivi regionali.

Difficoltà C’è un problema di formazione ma anche di prezzi: per una borsa venduta a mille euro un artigiano riceve circa cinquanta euro

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