A passeggio nel ghetto
Nel quartiere ebraico fiorentino con i ricercatori che lo stanno ricostruendo in 3D «Vedremo le botteghe del pane azzimo, le macellerie, le case». Oggi il lancio in via de’ Benci
La sfida è compiere un viaggio indietro nel tempo nel ghetto ebraico di Firenze, tra le storie dei suoi abitanti, le usanze religiose, la vita quotidiana e i problemi, anche più banali, come le liti tra condomini.
Incredibile? Assolutamente no. Fare una passeggiata virtuale tra le botteghe e gli appartamenti del ghetto, magari con una sosta di riposo in una delle tante stanze e perfino — per i più temerari — un’immersione speleologica nei condotti fognari, sarà un’avventura possibile grazie al progetto che un’équipe di studiosi sta conducendo da circa un anno con la passione e l’entusiasmo che contraddistinguono i ricercatori più motivati. È ciò che emerge da una chiacchierata con Piergabriele Mancuso, direttore dell’Eugene Grant Research Program on Jewish History and Culture in Modern Europe e con Lorenzo Vigotti, Storico dell’Architettura alla Columbia University che, sotto la supervisione di Alessio Assonitis, direttore del Medici Archive Project, presentano oggi pomeriggio alle 18, nella sede di via dei Benci 10 a Firenze, i primi risultati del Ghetto Mapping Project, la cui tappa iniziale sta portando all’elaborazione di una complessa piattaforma di ricostruzione tridimensionale che sarà esplorabile on-line a partire dal prossimo autunno. Sarebbe riduttivo, però, se il progetto si limitasse solo a questo.
Il modello 3D nasce con l’ambizione di diventare il contenitore di una messe di documenti d’archivio che farà rivivere lo spazio in tutti i suoi aspetti. «Entrando», il visitatore scoprirà le informazioni legate a ogni luogo, dal mobilio alle persone che lì abitavano, e capirà come sono cambiate le usanze, le attività economiche, il modus vivendi dei residenti. «L’idea racconta Mancuso — nasce dalla volontà di creare una piattaforma aperta e pluridisciplinare, dove gli storici, dell’ebraismo, dell’economia, dell’arte, della politica, dell’architettura, possano inserire i documenti raccolti nel corso delle loro ricerche, e costruire, così, una storia corale».
Il ghetto di Firenze, infatti, cela ancora diversi segreti. Terzo più antico d’Italia, dopo quello di Venezia e Roma, venne istituito nel 1570 per la necessità di Cosimo I di seguire i dettami della chiesa controriformata, che predicava una distanza fisica tra le minoranze ebraiche e i cristiani, al fine di evitare ogni tipo di «contaminazione». Relegare gli ebrei all’interno di un’area circoscritta, sottoposta, oltretutto, a chiusura notturna, rientrava nella politica urbana e amministrativa delle città della prima modernità. Sussistono, tuttavia, delle differenze sostanziali rispetto alle altre città. A Firenze il ghetto si trovava nel cuore pulsante del centro ed era strutturato come un enorme condominio. Inoltre, fatto ancora più interessante, il suolo, e di conseguenza le case, erano di proprietà di una sola famiglia, i Medici, che ne gestivano la vita come fosse una qualsiasi proprietà immobiliare. Oltre alle ordinarie forme di sorveglianza cui erano sottoposti gli altri ghetti della penisola, vigeva un controllo economico, finanziario e architettonico unico nel suo genere: al pari delle ville medicee, delle campagne e di tutti i possedimenti della potente famiglia reggente, il ghetto doveva essere economicamente produttivo e soprattutto in «buona salute». Studiando gli oltre duecento volumi dello Scrittorio delle Regie Possessioni, gli studiosi hanno ricavato le mappe dettagliate degli immobili, complete di tutte le trasformazioni subite nei secoli, e scoperto le descrizioni riportate dagli ispettori medicei, grazie ai quali conosciamo la posizione di ogni singolo mattone che costituiva quest’area urbana.
Per Vigotti «si tratta della ricostruzione dettagliata di un’area abitata da civili come mai era avvenuto prima, non solo nella storia di Firenze ma di tutta l’Italia centrale: è la mappatura di uno spaccato urbano che si estendeva su ben quattro isolati prossimi al Duomo e al Mercato Vecchio — demolito a partire dal 1880 per creare Piazza della Repubblica — e non in un momento temporale limitato, ma lungo tutto l’arco della sua esistenza». Dalle ricerche tuttora in corso emerge anche come ci fosse collaborazione tra la comunità ebraica e i Granduchi. Quando nel ‘700 l’area fu ampliata, gli abitanti diedero precise indicazioni su come doveva essere svolta la ristrutturazione. Dalle lettere si scopre che all’interno del ghetto c’era un fornaio per il pane azzimo, un macellaio, oltre ai servizi di cui gli abitanti avevano bisogno. Ogni edificio, che arrivava ad avere anche otto piani, possedeva un pozzo per ogni piano e molti appartamenti erano vuoti perché i più ricchi vivevano fuori dal ghetto e subaffittavano le case. Inoltre, esistevano appartamenti abbelliti da stucchi e forniti di ampi ballatoi, elemento che sfata il mito di un ghetto povero e degradato, ma che mostra la presenza di tutti gli strati della società. Scoprire tutti questi segreti è solo questione di tempo.
L’esperto Una piattaforma aperta dove gli studiosi potranno inserire i documenti raccolti e costruire una storia corale