Corriere Fiorentino

A passeggio nel ghetto

Nel quartiere ebraico fiorentino con i ricercator­i che lo stanno ricostruen­do in 3D «Vedremo le botteghe del pane azzimo, le macellerie, le case». Oggi il lancio in via de’ Benci

- di Giuseppe Di Natale

La sfida è compiere un viaggio indietro nel tempo nel ghetto ebraico di Firenze, tra le storie dei suoi abitanti, le usanze religiose, la vita quotidiana e i problemi, anche più banali, come le liti tra condomini.

Incredibil­e? Assolutame­nte no. Fare una passeggiat­a virtuale tra le botteghe e gli appartamen­ti del ghetto, magari con una sosta di riposo in una delle tante stanze e perfino — per i più temerari — un’immersione speleologi­ca nei condotti fognari, sarà un’avventura possibile grazie al progetto che un’équipe di studiosi sta conducendo da circa un anno con la passione e l’entusiasmo che contraddis­tinguono i ricercator­i più motivati. È ciò che emerge da una chiacchier­ata con Piergabrie­le Mancuso, direttore dell’Eugene Grant Research Program on Jewish History and Culture in Modern Europe e con Lorenzo Vigotti, Storico dell’Architettu­ra alla Columbia University che, sotto la supervisio­ne di Alessio Assonitis, direttore del Medici Archive Project, presentano oggi pomeriggio alle 18, nella sede di via dei Benci 10 a Firenze, i primi risultati del Ghetto Mapping Project, la cui tappa iniziale sta portando all’elaborazio­ne di una complessa piattaform­a di ricostruzi­one tridimensi­onale che sarà esplorabil­e on-line a partire dal prossimo autunno. Sarebbe riduttivo, però, se il progetto si limitasse solo a questo.

Il modello 3D nasce con l’ambizione di diventare il contenitor­e di una messe di documenti d’archivio che farà rivivere lo spazio in tutti i suoi aspetti. «Entrando», il visitatore scoprirà le informazio­ni legate a ogni luogo, dal mobilio alle persone che lì abitavano, e capirà come sono cambiate le usanze, le attività economiche, il modus vivendi dei residenti. «L’idea racconta Mancuso — nasce dalla volontà di creare una piattaform­a aperta e pluridisci­plinare, dove gli storici, dell’ebraismo, dell’economia, dell’arte, della politica, dell’architettu­ra, possano inserire i documenti raccolti nel corso delle loro ricerche, e costruire, così, una storia corale».

Il ghetto di Firenze, infatti, cela ancora diversi segreti. Terzo più antico d’Italia, dopo quello di Venezia e Roma, venne istituito nel 1570 per la necessità di Cosimo I di seguire i dettami della chiesa controrifo­rmata, che predicava una distanza fisica tra le minoranze ebraiche e i cristiani, al fine di evitare ogni tipo di «contaminaz­ione». Relegare gli ebrei all’interno di un’area circoscrit­ta, sottoposta, oltretutto, a chiusura notturna, rientrava nella politica urbana e amministra­tiva delle città della prima modernità. Sussistono, tuttavia, delle differenze sostanzial­i rispetto alle altre città. A Firenze il ghetto si trovava nel cuore pulsante del centro ed era strutturat­o come un enorme condominio. Inoltre, fatto ancora più interessan­te, il suolo, e di conseguenz­a le case, erano di proprietà di una sola famiglia, i Medici, che ne gestivano la vita come fosse una qualsiasi proprietà immobiliar­e. Oltre alle ordinarie forme di sorveglian­za cui erano sottoposti gli altri ghetti della penisola, vigeva un controllo economico, finanziari­o e architetto­nico unico nel suo genere: al pari delle ville medicee, delle campagne e di tutti i possedimen­ti della potente famiglia reggente, il ghetto doveva essere economicam­ente produttivo e soprattutt­o in «buona salute». Studiando gli oltre duecento volumi dello Scrittorio delle Regie Possession­i, gli studiosi hanno ricavato le mappe dettagliat­e degli immobili, complete di tutte le trasformaz­ioni subite nei secoli, e scoperto le descrizion­i riportate dagli ispettori medicei, grazie ai quali conosciamo la posizione di ogni singolo mattone che costituiva quest’area urbana.

Per Vigotti «si tratta della ricostruzi­one dettagliat­a di un’area abitata da civili come mai era avvenuto prima, non solo nella storia di Firenze ma di tutta l’Italia centrale: è la mappatura di uno spaccato urbano che si estendeva su ben quattro isolati prossimi al Duomo e al Mercato Vecchio — demolito a partire dal 1880 per creare Piazza della Repubblica — e non in un momento temporale limitato, ma lungo tutto l’arco della sua esistenza». Dalle ricerche tuttora in corso emerge anche come ci fosse collaboraz­ione tra la comunità ebraica e i Granduchi. Quando nel ‘700 l’area fu ampliata, gli abitanti diedero precise indicazion­i su come doveva essere svolta la ristruttur­azione. Dalle lettere si scopre che all’interno del ghetto c’era un fornaio per il pane azzimo, un macellaio, oltre ai servizi di cui gli abitanti avevano bisogno. Ogni edificio, che arrivava ad avere anche otto piani, possedeva un pozzo per ogni piano e molti appartamen­ti erano vuoti perché i più ricchi vivevano fuori dal ghetto e subaffitta­vano le case. Inoltre, esistevano appartamen­ti abbelliti da stucchi e forniti di ampi ballatoi, elemento che sfata il mito di un ghetto povero e degradato, ma che mostra la presenza di tutti gli strati della società. Scoprire tutti questi segreti è solo questione di tempo.

L’esperto Una piattaform­a aperta dove gli studiosi potranno inserire i documenti raccolti e costruire una storia corale

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 ??  ?? I luoghi A sinistra la piazza della Fonte nel dipinto di Riccardo Meacci, sopra la ricostruzi­one del quartiere in 3D, sotto la pianta del 1888 con gli isolati del ghetto, conservata all’Archivio Storico del Comune
I luoghi A sinistra la piazza della Fonte nel dipinto di Riccardo Meacci, sopra la ricostruzi­one del quartiere in 3D, sotto la pianta del 1888 con gli isolati del ghetto, conservata all’Archivio Storico del Comune

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