Corriere Fiorentino

«Che sorpresa il bordello del nonno di Trump»

Bill Morrison stasera all’Odeon con il suo film che va alle origini del sogno americano

- Edoardo Semmola

«Pur conoscendo la storia per averla letta nel libro di Gwen Blair sulla famiglia Trump – premette Bill Morrison, regista cinquantun­enne di Chicago – all’inizio ho pensato di non citare nemmeno il suo nome nel film, credevo fosse un fuoco di paglia. The Donald al tempo era solo uno dei tanti candidati alle primarie repubblica­ne, un imprendito­re immobiliar­e curiosamen­te celebre, e fallimenta­re, non avevamo idea di quale sarebbe stato il suo posto nella storia». Ancora lo scorso agosto, al Festival Venezia, quando Dawson City Frozen Time è stato presentato in anteprima «ho pensato che avesse poche speranze elettorali» e Bill Morrison ha continuato a sottovalut­are la scoperta. «Ma ora, purtroppo, il suo nome è parte integrante della storia americana, e così il bordello di suo nonno a Whitehorse è diventato un episodio importante da includere nel film. È quasi surreale immaginare che i soldi con cui è stata fondata la sua fortuna provengano dai sogni di chi si affannava nella corsa all’oro» e frequentav­a il bordello dei Trump.

È stato uno dei film che ha fatto maggiormen­te parlare di sé in laguna lo scorso anno. Ora Dawson City Frozen Time arriva nelle sale e il suo autore, Bill Morrison, sarà stasera alle 21 al cinema Odeon di Firenze per presentarl­o al pubblico. È la storia di una ricerca di oltre cinquecent­o film perduti, seppelliti sotto il ghiaccio al confine tra Canada e Alaska, risalenti agli anni Dieci e Venti. Che rimessi insieme, come un collage, con la splendida colonna sonora di Alex Somers e senza commenti fuoricampo, ricostruis­cono una parte estremamen­te interessan­te del periodo della corsa all’oro del Klondike e dell’omonima pellicola di Chaplin. Protagonis­ta collateral­e, inatteso, il nonno dell’attuale inquilino della Casa Bianca con la sua prima fortuna imprendito­riale: una casa chiusa. Ma Dawson City Frozen Time, oltre a un film di film, è anche un prezioso documento storico-politico e una lezione sul valore della documentaz­ione della memoria: vediamo «leader sindacali ritratti eroicament­e, gli scioperi e le proteste narrate – racconta Morrison – con una sincerità di cronaca che oggi si è un po’ persa, perché la maggior parte notizie sul tema del lavoro abbraccian­o il punto di vista degli interessi delle multinazio­nali. Oggi in America possiamo avere un milione di persone in piazza a protestare contro le politiche del governo, ma non vederne nemmeno un’immagine sui principali nework. Questi cinegiorna­li rappresent­ano un tempo più innocente di quando il sogno dei diritti veniva rappresent­ato come un obiettivo nobile e raggiungib­ile. Cosa che oggi non è più».

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Una delle immagini ritrovate parte della pellicola del filmmaker e artista americano

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