QUELL’ARCO È UN SIMBOLO DI CULTURA, LE MISURE NON CONTANO
Caro direttore, in questi anni di terrore e di oscura intolleranza, d’inquisizione e d’iconoclastia, non è facile, non è comoda né scontata la nostra posizione di difensori della civiltà artistica e del patrimonio culturale occidentale e mondiale. Un ministero rivendicato secondo ideologie dominanti da secoli a livello planetario. Da eredi dell’umanismo e dell’illuminismo ci diamo il compito virtuoso di imporre il bene e come arcangeli ci armiamo di ogni strumento tecnologico, simbolico, giuridico, economico contro il male, contro le scellerate potenze distruttive, contro i nemici della democrazia e del progresso. Un obiettivo che è tanto più raggiungibile, spendibile e condivisibile quanto più collettiva si fa la rimozione del passato, di quello che abbiamo distrutto, profanato, calpestato in nome di credi religiosi, di programmi politici, perfino di mode estetiche. Soprattutto in nome e per conto del profitto, che ha preteso il successo a ogni costo su scala globale.
Dovremmo sempre rammentare una delle tesi della Filosofia della Storia proposta da Walter Benjamin; quella in cui il filosofo descrive un celebre acquerello di Paul Klee, conosciuto come Angelus novus. Benjamin lancia un monito alle generazioni future accusando il progresso reo di accumulare rovine su rovine. E non possiamo dimenticare che molti degli antichi capisaldi della civiltà sono stati eretti grazie alla sofferenza e alla fatica di schiavi, di una forza lavoro senza diritti, alla mercé del potere dominante, delle classi egemoni. La stessa funzione e forza simbolica di quel piccolo Angelo, la riscontriamo in un altro capolavoro dell’arte novecentesca, penso a Guernica di Picasso. Sono tutti simboli fondamentali, immagini di cui abbiamo bisogno per combattere il mostro che abita dentro di noi, dove il noi accomuna tutti, quando in noi prevalgono prepotenza, cieca violenza, malvagità e cupidigia. Simboli specchianti, icone parlanti con cui fare i conti singolarmente e collettivamente per correggere il corso della storia e rimediare a errori e colpe, per de-costruire retoriche e modelli, prospettive e valori che non hanno al centro la dignità dell’uomo, la pace, la fratellanza, la bellezza del pianeta. Difficile e impegnativo compito quello della difesa del patrimonio da parte di chi ha contribuito e ancora contribuisce a un progresso oppressivo, fin troppe volte scellerato, che non rispetta i corpi, gli spiriti, la terra comune. Purtroppo, dobbiamo constatare uno scontro di civiltà ancora in atto e forse di nuovo esasperato. Distruggere monumenti e alzare muri sono azioni violente che pesano sulla bilancia alla pari, azzerando il dialogo, la convivenza, l’apertura culturale come a Palmira, la città del multiculturalismo, la Sposa del deserto, laddove convivevano mondi diversi: l’origine aramaica, l’organizzazione tribale, la cultura grecoromana.
Questo è il messaggio trasmesso nei giorni prossimi con la presenza di un rifacimento dell’Arco di Palmira posizionato in piazza Signoria. Abbiamo bisogno di simboli che funzionino come Meduse al contrario, per ripensare noi stessi e gli altri, per vincere il mostro che abita in noi, per generare riflessioni profonde e coraggiose quando troppo facilmente additiamo il nemico davanti a noi.
In merito alla lettera del professor Paolo Matthiae, pubblicata ieri dal Corriere Fiorentino, credo che l’arco in formato trasportabile che riproduce quello distrutto di Palmira — senza pretesa di essere a immagine e somiglianza dell’originale (che attiene solo al Dio della Genesi) — non vada giudicato sui centimetri, sulla filologia, sulla presunzione di perfezione, ma per il significato e il senso che assume tra i «giganti» del rinascimento. Un senso doppio e non univoco. Mettendoci pure in guardia da una futuro programma di ricostruzione (com’era e dov’era) quale anticamera di un nuovo egemone neocolonialismo, come è stato giustamente fatto notare in più sedi. A questo servono certi simboli: a prospettare un futuro radicalmente diverso, non certo a far ritornare con la copia il mondo originale perduto o passato perché questo lo fa ingenuamente il cinema più spettacolare.