Corriere Fiorentino

DELUSIONI DI UN PROFESSORE

- SEGUE DALLA PRIMA Enrico Nistri

Era un modo per metterli a loro agio, facendoli scrivere di argomenti che conoscevan­o, ma anche un tentativo di comprender­e come fosse cambiato il rapporto fra genitori e figli. Non c’era nessuna imposizion­e: chi voleva poteva scegliere, nella terna delle tracce, il tema sulla protervia di don Rodrigo o sul problema (già allora) del traffico. Ma quasi tutti preferivan­o parlare della loro famiglia, con argomenti che il più delle volte mi meraviglia­vano. Mi colpiva l’assenza di attriti con i genitori: sorprenden­te per chi come me, figlio della generazion­e del ’68, aveva vissuto il rapporto con la famiglia anche come una serie di faticose conquiste, dai pantaloni lunghi alle chiavi di casa a 18 anni, più vicino al protagonis­ta del Giardino dei Finzi Contini che ai miei alunni. In un primo tempo attribuii quell’assenza di conflittua­lità alla buona indole delle generazion­i uscite dal riflusso, ma presto intuii che quei quattordic­enni avevano già quasi tutto: dal motorino, alla libera uscita per le notti in discoteca: cos’altro dovevano chiedere? Erano i primi lucori degli anni ’80, che per gli insegnanti sono stati un apostrofo rosa fra l’età postsessan­tottarda del «contropote­re studentesc­o» e le emergenze dei decenni successivi. I miei alunni provenivan­o da famiglie di ceti medi emergenti, che cercavano di dare ai figli quello che non avevano avuto e si rivolgevan­o alla scuola con un rispetto oggi inimmagina­bile. Fra i ragazzi era chiara la distinzion­e fra discoteca e aule: la campanella faceva ancora da cesura. Volli convincerm­i che quella fine della conflittua­lità fra generazion­i fosse il segnale di un’Italia uscita dagli anni di piombo, in cui il peggio, come cantava Sergio Caputo, doveva essere passato. A distanza di più di 30 anni devo ammettere che non è così. Concedere tutto ai giovani non ha contribuit­o a formare cittadini più consapevol­i o più appagati. I 20 anni, come sosteneva Paul Nizan, non sono mai stati un’età felice, ma si ha l’impression­e a volte che i ventenni di oggi, non solo per la congiuntur­a economica, siano più infelici dei coetanei di 30 o 50 anni fa. Per di più la loro infelicità si traduce in una violenza nemmeno motivata da alibi pseudoideo­logici. È una violenza contro gli altri, spesso contro gli stessi familiari, ma anche contro se stessi per quel suicidio in differita che sono l’abuso di alcol e droghe, la guida spericolat­a, lo stesso térere tempus in attività inutili o dannose. Questa violenza non è figlia della rivolta contro le regole, ma della loro assenza: di una scuola che promuove Franti a «studente antagonist­a» portatore di «bisogni educativi speciali» e che a furia di abolire o sdrammatiz­zare gli esami rischia di lasciare i ragazzi indifesi dinanzi al grande esame della vita. Le generalizz­azioni sono sempre pericolose resta però da sperare che un giorno non dovremo pentirci di avere abolito quel servizio di leva che almeno insegnava a mangiare quello che c’è, e magari anche ad avere accettato nelle scuole superiori, in nome dell’inclusione, anche chi non è né capace né meritevole e con la sua violenza finisce per escludere lo studente rispettoso delle regole. La legge di Gresham non esiste solo in finanza: anche nelle aule, e nella vita, la moneta cattiva scaccia la buona.

 Pensavo che la fine delle conflittua­lità fra generazion­i fosse il segnale di un’Italia uscita dagli anni di piombo Errore: oggi la violenza è contro se stessi

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