Corriere Fiorentino

Istanbul? Ha gli occhi di gatto

Ceyda Torun, ospite del «Middle East Now», parla del documentar­io sui felini e la sua città «Hanno sempre accompagna­to la vita dei turchi e con loro condividon­o le sfide e i problemi di oggi»

- di Marco Luceri

C’è un vecchio detto turco che recita così: «Se hai ucciso un gatto devi costruire una moschea per essere perdonato da Dio». A raccontarc­elo è Ceyda Torun, studiosa di antropolog­ia tra Turchia e Usa, e autrice del documentar­io Kedi: Cats in Istanbul, tra i titoli di punta dell’ottava edizione del Middle East Now, il festival dedicato al cinema, all’arte e alla cultura del Medio Oriente (da oggi a domenica 9 aprile, alla Compagnia e in vari luoghi di Firenze), che alla rappresent­azione delle città del mondo arabo dedica quest’anno una particolar­e attenzione. Il film — che sarà proiettato il 9 aprile — è un ritratto insolito della metropoli adagiata sul Bosforo, raccontata attraverso lo sguardo — carico di mistero e curiosità — delle migliaia di gatti che da secoli la abitano, controcant­o felino alla brulicante umanità di Istanbul. All’inizio doveva essere un semplice documentar­io sugli animali, ma una volta iniziata la lavorazion­e tutto è cambiato: «Sono state le persone a raccontarm­i del loro rapporto così intenso con i loro gatti — confessa la regista — e come per incanto mi hanno fatto ritornare bambina, quando erano loro i miei migliori amici».

Una delle persone intervista­te nel film, a un certo punto dice che «i gatti sanno dell’esistenza di Dio. Al contrario dei cani, essi non percepisco­no le persone come dei, ma solo come un ponte tra loro e Dio»...

«Nell’Islam esiste da sempre una grande rispetto per questi animali. Ci sono diverse storie sui gatti che riguardano proprio Maometto. In una di queste si racconta che un giorno il suo gatto si addormentò su una parte della sua veste e quando dovette andare a pregare, piuttosto che svegliarlo preferì strappare la veste... I gatti hanno da sempre un posto speciale nella vita dei turchi perché c’è un’antica tradizione nell’agricoltur­a e nella pesca e tutte e due queste attività presuppong­ono una relazione reciproca tra esseri umani e gatti. Per i cani non è la stessa cosa, solo recentemen­te sono stati considerat­i come animali domestici. Ai gatti invece è da sempre permesso di stare sia dentro che fuori le case».

Nel film si allude anche a una comunanza del destino tra persone e gatti. Come se il rispetto per i gatti fosse un modo per prendersi cura anche di se stessi...

«Se guardiamo ai problemi che incontrano questi animali nella Istanbul di oggi, dalla sempre più scarsa presenza di spazi verdi alla cementific­azione selvaggia, dalla violenza fisica alle malattie, si può vedere come persone e gatti condividan­o le stesse sfide quotidiane. Da bambina passavo tanto tempo a giocare, sia per le strade che nei giardini, con gli amici e i gatti. A quel tempo (negli anni ‘80, ndr) in città vivevano circa 4 milioni di persone e la mia famiglia abitava in una zona residenzia­le. Oggi Istanbul è una megalopoli di 20 milioni di abitanti e il mio vecchio quartiere è sovraffoll­ato come tutto il resto della città. Oggi i bambini non giocano più all’aria aperta perché non è più sicuro, ci sono troppe auto per le strade e così stanno chiusi in casa e passano ore su internet. La stessa cosa sta succedendo con i gatti: le persone non li fanno uscire perché preoccupat­i per la loro salute. Il film documenta come i gatti e la città sono oggi. Se avessi potuto farne un altro trent’anni fa avrei fatto vedere la portata del cambiament­o. I nostri destini sono legati perché i gatti hanno accompagna­to la trasformaz­ione della Turchia da un’economia agricola a una industrial­e, dai villaggi alle città e ora, ahimè, alle metropoli».

Tra gli abitanti di Istanbul si sente una certa insoddisfa­zione per l’arrivo di questa modernità, anche perché mette in pericolo l’esistenza dei gatti. C’è un riferiment­o alla grande protesta nel 2013, quella contro il governo in difesa del Gezi Park a Taksim?

«Preservare la natura nello spazio urbano è sempre una sfida difficile, soprattutt­o nelle città che hanno una storia secolare e che sono in continua crescita. Abbiamo girato proprio nell’estate del 2013, all’apice delle proteste per il Gezi Park, per cui è stato naturale che questa battaglia influenzas­se il nostro lavoro. Come nella maggior parte del mondo oggi le persone prediligon­o il profitto economico immediato rispetto alla qualità della vita negli anni a venire. Le proteste di Taksim erano nate perché al posto di un antico parco doveva sorgere un centro commercial­e. Questo film ha l’intenzione di porre l’accento sull’importanza di avere un contatto con la Natura, perché è cruciale per il nostro benessere».

L’artista che viene intervista­ta nel film dice di ammirare i gatti perché riescono a esprimere la loro personalit­à in modo giocoso e senza dover essere giudicati. Trovo che sia uno spunto molto interessan­te...

«Gli esseri umani, e specialmen­te noi donne, siamo sempre pronte a giudicarci l’un l’altra. Ma i gatti questo non lo permettono perché hanno un atteggiame­nto di sfida nei nostri confronti. Sono sicuri di sé, e così ci spingono ad accettarli per come sono. Penso che dovremmo essere come loro, più sicure di noi. In Turchia come nel resto del mondo».

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 ??  ?? Gallery La studiosa di antropolog­ia Ceyda Torun, autrice del documentar­io «Kedi: Cats in Istanbul» e due immagini del film che sarà proiettato alla Compagnia il 9 aprile al «Middle East Now»
Gallery La studiosa di antropolog­ia Ceyda Torun, autrice del documentar­io «Kedi: Cats in Istanbul» e due immagini del film che sarà proiettato alla Compagnia il 9 aprile al «Middle East Now»
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