Corriere Fiorentino

UNO SCIENZIATO, QUASI UN PROFETA

- di Paolo Ermini

«Èmorto Vanni». E nessuno ha aggiunto il cognome. Nella Firenze meno ignorante Vanni era lui, lui e basta: Giovanni Sartori. Lo studioso, il docente della «Cesare Alfieri», l’editoriali­sta del Corriere della Sera. Ma anche il brillante conversato­re delle serate trascorse con gli amici. L’uomo che di sé diceva: «Non ho un buon carattere». Un po’ era vero e un po’ no. Perché inclinava di più verso la severità dei giudizi che ai compromess­i, però aveva stile e conosceva il valore dell’intelligen­za anche nei rapporti con i suoi simili. E ne faceva buon uso, dimostrand­o rispetto. Nei giorni delle frequenti telefonate con Via Solferino avevo imparato ad apprezzare la sua ironia. A volte anche molto forte, ma sempre motivata. Come le sue opinioni. Mai un anatema. Solo condanne ragionate. Rileggere i suoi scritti e le sue interviste ci servirà a capire come l’Italia si è infilata in un vicolo che sembra cieco. Una rilettura che farebbe bene anche ai politici. Di casa nostra e anche no: Berlusconi, Grillo, Renzi. Un collage di aforismi che a volte prendono i tratti delle profezie. Profezie alimentate dallo stesso spirito con cui lui lasciò la facoltà di via Laura per andarsene negli Stati Uniti. Un gruppo irruppe nell’aula dove stava facendo lezione e uno studente insorse: uno dei contestato­ri gli lanciò contro un mazzo di chiavi. Era il segno di una sopraffazi­one che sarebbe diventata la regola nell’Università degli anni Settanta. E lui preferì passare ‘a nuttata lontano, oltre oceano. La rassegnazi­one non era prevista nel suo Dna.

La scienza politica italiana perde il suo creatore. E anche il suo divulgator­e più divertente: sul Corriere ci ha insegnato pregi e difetti di tutti i sistemi elettorali. Con il vezzo di chiamarli a modo suo, dal mattarellu­m al porcellum. Tutti noi abbiamo imparato e anche sorriso. Firenze perde un altro dei suoi grandi. Che però resta, lassù, sul Monte accanto a San Miniato. In una cappella dove sul frontespiz­io sta scritto: «Giovanni Sartori per se e pei suoi». L’ultima dedica è stata per gli affetti più cari. È per questo che lo chiamavano Vanni, e basta..

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