Corriere Fiorentino

Un militante, contro le storture della democrazia

Rigore, indipenden­za, coerenza: così Sartori visto dal suo allievo e successore

- Gori, Passanese di Stefano Passigli

Pubblichia­mo l’introduzio­ne al libro La politica come scienza (Passigli editore) — raccolta di scritti omaggio al lavoro di Giovanni Sartori — firmata da Stefano Passigli, che di Sartori è stato allievo ereditando poi alla facoltà fiorentina «Cesare Alfieri» la cattedra di Scienza della politica lasciata dal maestro.

Nei loro contributi a questo volume in onore di Giovanni Sartori molti degli autori fanno riferiment­o al grande valore innovativo della sua opera, sottolinea­ndone il ruolo nello sviluppo della scienza politica. Ma anche se tutti sono abituati a considerar­lo come il politologo per eccellenza, Sartori iniziò il proprio percorso scientific­o con una riflession­e di filosofia politica di cui sono testimonia­nza i suoi scritti su Croce. Sarà infatti solo con il suo fondamenta­le volume Democrazia e definizion­i, apparso nel 1957, che, abbandonan­do una prospettiv­a essenzialm­ente filosofica, egli si orienterà verso una scienza analitica che ne stabilirà immediatam­ente l’autorevole­zza scientific­a a livello internazio­nale. Dedicato all’esame di modelli alternativ­i di democrazia, lo studio di Sartori compie peraltro anche una decisa scelta prescritti­va a favore della democrazia rappresent­ativa. La sua critica alla democrazia diretta è radicale: possibile forse nella antica polis, la democrazia diretta e gli istituti che ad essa si ispirano, come il referendum, sono visti da Sartori come oggetto di possibile manipolazi­one da parte di minoranze che chiamano la maggioranz­a ad esprimersi su alternativ­e predefinit­e dal loro attivismo («sì» o «no») senza possibilit­à di mediazioni. Sartori teorizza invece una «democrazia competitiv­a», in cui il ruolo della maggioranz­a non è quello di pronunciar­si una tantum solo il giorno delle elezioni, o su di un quesito referendar­io definito da una minoranza, ma quello di scegliere nel momento elettorale tra minoranze in competizio­ne, e di controllar­e attraverso i propri rappresent­anti l’esercizio del potere di governo da parte della minoranza prescelta in sede elettorale. Permane fondamenta­le in Sartori, in una visione classica del costituzio­nalismo liberale, la centralità della separazion­e dei poteri, vista come fondamento di quella «libertà da» precondizi­one di qualsiasi «libertà di». Ne consegue che per Sartori non vi possono essere diritti sociali senza la previa garanzia del rispetto dei fondamenta­li diritti civili e politici. Il che costituisc­e l’essenza di una visione classicame­nte «liberale» quale è appunto quella di Sartori. Altra conseguenz­a che discende da una visione della democrazia ove alla maggioranz­a sia affidato il ruolo di scegliere tra minoranze in competizio­ne, è che la maggioranz­a non entra in gioco solo il giorno delle elezioni, ma partecipa ai processi decisional­i in maniera continuati­va attraverso il sistema dei partiti e degli interessi, e le relative rappresent­anze parlamenta­ri, nonché attraverso un sistema dell’informazio­ne in grado di assicurare il libero formarsi di una opinione pubblica indipenden­te. È in questa visione che affondano le radici del rifiuto di Sartori della «democrazia di investitur­a», della teoria cioè che chi è stato «unto» dal voto popolare può essere sostituito solo da nuove elezioni, con ciò riconoscen­do quale unica fonte di legittimaz­ione il voto e ponendo in discussion­e la legittimit­à di poteri basati su fonti di legittimaz­ione alternativ­e, come ad esempio la magistratu­ra. Naturalmen­te, per funzionare bene la democrazia rappresent­ativa postula un corretto rapporto eletti-elettori, che garantisca a questi ultimi un controllo continuati­vo sull’operato dei primi. Sartori conosce bene il valore del divieto di mandato imperativo quale principio fondante della rappresent­anza politica; ma Sartori conosce altrettant­o bene l’importanza della pubblica opinione, e quindi di un sistema dell’informazio­ne pluralisti­co e non manipolato quale garanzia del libero formarsi del consenso politico e quale strumento di controllo degli elettori sull’operato degli eletti. La necessità di conciliare questi due aspetti essenziali della democrazia porta Sartori a volgere i suoi interessi verso i partiti e le leggi elettorali, quali indispensa­bili strumenti di raccordo tra gli elettori e le istituzion­i, e infine a rivolgere l’attenzione alle distorsion­i introdotte nel processo democratic­o dall’avvento dei media televisivi e dall’insorgere del conflitto di interessi. È il momento in cui il confronto quotidiano con la realtà del sistema politico italiano accelera in Sartori il convincime­nto che la scienza politica, pur dovendosi mantenere estranea a suggestion­i prescritti­ve, sia però una scienza intrinseca­mente applicativ­a, che può indicare gli strumenti necessari a conseguire gli obiettivi perseguiti, e che — in presenza di crisi di sistema — essa possa, anzi debba, dar vita ad una vera e propria ingegneria istituzion­ale. È questa preoccupaz­ione per la crescente crisi della democrazia rappresent­ativa, e per il sempre più marcato disincanto della pubblica opinione nei suoi confronti, che porta Sartori ad esplorare i fenomeni che incidono sulla sua progressiv­a trasformaz­ione, primo fra questi la «videocrazi­a», e che indebolend­o partiti, gruppi di interesse, e tutti gli istituti di mediazione tra il singolo cittadino e le istituzion­i, accelerano la personaliz­zazione della politica e il concentrar­si del potere in leader singoli, con il rischio di un progressiv­o venir meno di quella separazion­e (ed equilibrio) tra poteri da sempre considerat­a da Sartori come indispensa­bile requisito di un sistema che voglia dirsi democratic­o. Naturale dunque che in questa fase si faccia dominante, rispetto ai suoi interessi teorici, l’attenzione di Sartori per il caso italiano. Nei suoi interventi sul «Corriere della Sera», egli si dedica perciò a fenomeni quali il conflitto di interessi; le trasformaz­ioni surrettizi­e della forma di governo generate da innovazion­i quali il nome del candidato premier sulla scheda elettorale; il crescente contrasto tra politica e magistratu­ra Nel 2009 Sartori riceve il premio «Amici del Latini» da Torello Latini alimentato dalle «leggi ad personam»; la mancata esecuzione delle sentenze della Corte costituzio­nale in materia di sistema radiotelev­isivo; e così via. In questi interventi Sartori ribadisce costanteme­nte la sua fiducia in una visione classica della democrazia rappresent­ativa, e nei suoi strumenti di partecipaz­ione, primo tra tutti il partito politico, vedendo però il superament­o del modello del partito di massa e lo scivolamen­to verso il partito personale, strumento di mobilitazi­one a servizio del leader. Militante, dunque, in questi ultimi anni, ma nel profondo sempre scienziato. Nessuna contraddiz­ione: se la scienza politica è scienza applicativ­a, nei momenti di crisi sistemica essa non può non essere impegnata. La lezione di Sartori, al di là dei grandi portati di sostanza, è dunque innanzitut­to una lezione di grande rigore e di estrema indipenden­za e coerenza scientific­a.

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Il professor Giovanni Sartori durante la sua partecipaz­ione nel 2006 al programma Rai «Parla con me»
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