TOSCANA-AFRICA, RICICLANDO I RIFIUTI SI BATTE LA POVERTÀ
Sudafrica post Mandela. A metà strada tra Johannesburg e Pretoria nel comune di Ekurhuleni si trova una delle più grandi township del Sud Africa, Tembisa. Una vallata sterminata, un mondo che non ti aspetti. Tetti che toccano altri tetti, chilometri di lamiere talvolta colorate. Strade asfaltate che muoiono in altre polverose. Gabinetti chimici in sequenze chilometriche. Cavi della luce che penzolano al vento. Bambini che giocano tra i rottami di auto sventrate. Lungo i marciapiedi sgabelli artigianali ospitano verdure, frutta o galline. È il ciclo della vita, o meglio il riciclo della povertà. Eppure per terra non c’è una carta, una bottiglia di plastica o di vetro, i rifiuti sono una fonte, per molti l’unica. A Tembisa si vive in condizioni di povertà assoluta, ma si convive anche con la piccola borghesia e i suoi quartieri. In quel luogo non c’è un bianco. La differenza è nell’appartenenza ad una tribù rispetto ad un altra. In quella torre di Babele decine di dialetti africani si mescolano, ma non si confondono. Lì persino la politica è materia di violenze, che vanno aggiunte alle altre piaghe del degrado sociale. Oxfam Italia insieme al Confservizi Cispel Toscana da quasi tre anni lavora con un progetto di cooperazione a Tembisa, Get answers, cofinanziato dalla Commissione Europea che ha visto la luce grazie anche al contributo Un momento della raccolta dei rifiuti a Tembisa in Sudafrica della Regione Toscana e alla Fondazione Gucci. L’obiettivo è dare lavoro e dignità. Tre cooperative che si occupano di raccogliere e riciclare i rifiuti, formate in maggioranza da donne. Compaiono in strada quando è ancora notte e spariscono con il salire ed infuocarsi del sole. Camminano per chilometri portandosi i loro carrelli: pile di rifiuti in grossi sacchi bianchi che ondulano ad ogni sobbalzo del trasporto. Oggi hanno un luogo dove smaltire i rifiuti in condizioni igieniche decenti, hanno dei bagni e degli spogliatoi, acqua corrente ed elettricità, un camion che gli permette di faticare molto meno. E le stazioni sono state attrezzate con macchine per l’imballaggio che gli consentono di avere un prodotto finale migliore. Hanno ricevuto, e continuano a ricevere, l’aiuto giornaliero dello staff di Oxfam e la formazione con il supporto di esperti italiani. Il seme del progetto sta crescendo. Dulce Mashaba è una ragazza ventenne, senza marito e con due figli. È entrata nella cooperativa da un anno. In lingua shangana dice che il lavoro gli piace e che la cosa più importante per lei è riuscire a mandare i propri figli a scuola. Nemmeno il tempo di far tradurre la frase ed è già a rovistare tra la plastica. Salphie invece ci parla in inglese, con lei discutiamo del prezzo dei materiali. Il vetro è la seconda fonte di guadagno, la prima è il polietilene. La terza sono le verdure che provengono dal loro orto comune. Agnes indossa l’uniforme blu con i loghi del progetto, ha trascorso quattro anni nelle discariche abusive, sorride mentre apre il cancello della nuova stazione e ripete: «Grazie».