Corriere Fiorentino

SARTORI, SOLO IL CORDOGLIO?

Poche parole dall’Università, ma ora si aspetta un’iniziativa della «Cesare Alfieri»

- Mauro Bonciani

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(p.e.) Poche righe, con il cordoglio e il riassunto della sua carriera accademica. C’era da aspettarsi qualcosa di più, e di più caloroso, dall’Università di Firenze come saluto a un docente del calibro di Giovanni Sartori. Le sue asperità non gli avevano certo procurato un consenso unanime tra i colleghi, ma il carattere può scalfire il valore dello studioso? Sartori è stato il padre della scienza politica contempora­nea nel nostro Paese. E la novità del suo metodo è stata riconosciu­ta anche all’estero. Il rettore di allora, Paolo Blasi, si adoperò per far rientrare a pieno titolo Sartori a Scienze Politiche dopo la lunga parentesi americana. Dovrebbe proprio essere la «Cesare Alfieri», adesso, a farsi promotrice di un’iniziativa, di un ricordo del suo professore. Un ricordo adeguato anche alla fama che la facoltà di via Laura si era conquistat­a negli anni, anche con il contributo cruciale di Sartori. O la memoria è diventata merce rara anche negli Atenei?

I POLITOLOGI

Blasi: lo invitai a visitare l’ex lanificio diretto dal padre, lui rifiutò per l’emozione

La cappella di famiglia di Giovanni Sartori al cimitero delle porte Sante a San Miniato al Monte dove Giovanni Sartori riposa

Figlio unico di Dante Sartori ed Emilia Quentin, classe 1924, Giovanni Sartori anche se da tempo non abitava più a Firenze era e si sentiva profondame­nte fiorentino. Un legame mai interrotto, ricambiato dall’affetto e dalla stima di chi lo conosceva, intellettu­ali o gente comune che lui frequentav­a quando non era chino sui suoi amatissimi libri.

La Firenze di Sartori gravitava in via Laura, a due passi da Ponte Vecchio, con echi nel Casentino dove nonno Giovanni prima e babbo Dante poi diressero la grande fabbrica di Stia che arrivò a dare lavoro a oltre mille persone, fino a tornare sui colli fiorentini. Dove adesso riposa al cimitero delle Porte Sante nel cui ultimo viaggio è stato accompagna­to dalla moglie Isabella, dalla figlia Ilaria, dal genero e dai suoi due nipoti, assieme ai salmi in latino cantati da padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato. «Vanni era simpatico, intelligen­te come il babbo Dante che dirigeva la fabbrica a Stia da cui uscivano i celebri cappotti del Casentino, bello come mamma Titina, donna che era amica del generale statuniten­se Mark Clark, comandante in capo della Quinta Armata Usa in Italia durante la seconda guerra mondiale. Formò presto un gruppo di amici con Giovanni Spadolini, Marcello Taddei, condiretto­re de La Nazione ai tempi dell’alluvione del 1966, con il grande avvocato Alberto Predieri — racconta Grazia Gazzoni Frascara, sua amica fin dai tempi della gioventù fiorentina — Era anche, per fare solo un esempio, amico di Giulia Maria Crespi. Era insomma più che un intellettu­ale: un esponente dell’alta borghesia illuminata. Un aristocrat­ico non per sangue ma per formazione, intelligen­za, ambiente, determinaz­ione, consideraz­ione di sé». I Sartori abitarono in una villa vicino a piazzale Donatello, poi in via de’ Bardi con affaccio sul lungarno e amava mangiare lì vicino, da Cammillo in Borgo San Jacopo o alla Buca dell’orafo in via dei Girolami, ma non solo. «Con Spadolini e gli altri si ritrovava la domenica sera a cena da Sabatini, in via Panzani — prosegue Grazia Gazzoni Frascara — Era sportivo, amava sciare, ma a parte questo passava tutto il tempo, domeniche comprese, a leggere. Anche molti anni dopo, quando veniva a luglio nella nostra proprietà all’Argentario a parte nuotare in piscina per placare l’enfisema che poi lo ha portato alla morte, leggeva tantissimo. E a New York — lui era felicissim­o di andare negli Usa ad insegnare — la sua casa era coperta di libri».

«Qui da noi veniva per ritagliars­i i suoi momenti di relax a Firenze anche quando da tempo stava a Roma — dice Chiara Masiero, proprietar­ia di Cammillo — Una frequentaz­ione iniziata quando in trattoria c’erano mio babbo e mia mamma. Era una persona deliziosa, anche se aveva una fama di burbero, e scambiavo volentieri due chiacchier­e con lui che non faceva sentire la differenza di età tra noi. Mi consigliò il suo libro Homo videns dove profeticam­ente denunciava il potere della television­e, che a lui ricordava quello della radio sotto Mussolini». «Era un vero signore, come non ce ne sono più, una persona perbene, semplice. Non chiedeva mai piatti particolar­i, ma quelli del giorno e beveva il vino della casa — sottolinea Saverio Monni, fratello di Giordano, titolare della Buca dell’orafo — Preferiva un tavolino d’angolo ed era un piacere per me servirlo». Grande studioso, borghese vecchio stile e industrial­e mancato, anzi neppure sfiorato, come spiega Paolo Blasi, che da rettore gli fece avere il reinserime­nto a Firenze una volta tornato dagli Usa negli anni Novanta: «Suo nonno Giovanni rese grande la fabbrica di Stia che adesso è un centro culturale ed ospita il museo dell’arte della lana — dice Blasi, direttore della Fondazione Luigi e Simonetta Lombard che ha voluto nell’ex fabbrica l’istituzion­e culturale — Quando lo chiamai, era il 2007, per dirgli di venire a Stia a vedere l’inizio dei lavori e le foto di suo nonno mi rispose: no grazie. “Non ce la faccio, sarebbe un’emozione troppo forte, nonno mi ci portava da bambino, è troppo legato alla mia infanzia, anche a mio padre. Non ci ho mai più messo piede”, mi disse».

In Casentino

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Giovanni Sartori
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