«Era il migliore e tale è rimasto Gli eredi del prof? Non ce ne sono»
Morlino (Luiss): i fasti della Cesare Alfieri sono lontani, c’è stata una diaspora
Chi è lo scienziato della politica erede, successore, di Sartori, in quella fucina di talenti che fu la Cesare Alfieri di Firenze? «Non c’è. Non ne sono rimasti. Ci sono degli ottimi colleghi, come Massimo Morisi, Marco Tarchi, Alessandro Chiaramonte». La risposta del professor Leonardo Morlino, oggi docente alla Luiss di Roma dopo aver insegnato in mezzo mondo, è cristallina, e quasi disarmante.
«La vera domanda che lei mi sta facendo — aggiunge il politologo — forse, è questa: “Chi è, oggi, lo studioso al livello del professor Sartori?”. Era il migliore ed è rimasto il migliore». E come mai? «Perché noi, quasi tutti suoi allievi, non siamo stati capaci di raggiungere il suo livello di preparazione, insegnamento e divulgazione».
Perché la Cesare Alfieri, oggi, è lontana da quei fasti accademici?
«Io ho avuto l’onore di essere preside della facoltà tra il ‘92 ed il ‘95. In quel periodo, e non solo, tutte le graduatorie e classifiche, chiamiamole così, certificavano la Alfieri come la miglior facoltà di Scienze politiche in Italia. Sartori tornò ad insegnare a Firenze, Draghi insegnava Economia internazionale, Di Nolfo Relazioni internazionali, Arfè Storia dei partiti. Era un gruppo molto ampio e preparatissimo a livello accademico».
E poi, qual è stato il motivo del crollo?
«C’è stata una diaspora. Perché la vita è cambiata per tutti. Sartori andò in pensione nel ’94, Draghi divenne direttore del Tesoro. Più che un ciclo si chiuse un’epoca».
Sartori non aveva un carattere facile?
«Di eventi piacevoli ne potrei raccontare tanti. Avevamo un rapporto di grande confidenza, di cui forse lui si pentiva un po’. Ciò mi consentiva di prenderlo un po’ in giro, e lui reagiva sempre in maniera brillante». Avete avuto anche scontri? «Quando sono emerse diversità di opinione profonda, è venuto fuori un aspetto del suo carattere, che lui cercava di insegnarmi, cioè che nel mondo universitario di una volta bisognava avere la capacità di vendicarsi, per affermare la propria autorevolezza di docente. Io quello non l’ho mai imparato.. Ma magari aveva ragione lui».
Si ricorda la prima volta in cui incontrò il suo primo maestro?
«Certo: nel 1970, al secondo piano di via Laura 48. Sartori aveva ricevuto da poco un finanziamento consistente dalla fondazione Ford, il colosso delle auto. Grazie a quei fondi riuscì a reclutare un gruppo di studenti che studiasse la Scienza politica in Italia: fu una grande intuizione». L’insegnamento chiave? «Il primo anno, da borsisti laureati, ci chiese di seguire le sue lezioni. I cardini erano: chiarezza, precisione e il fatto che ripeteva i concetti. Questo lo portava molto a diluire quello che diceva, però questo metodo, per i ragazzi del secondo anno, era molto efficace. Con Sartori ho imparato davvero di più quando ha diretto un seminario di Metodologia delle Scienze sociali. C’era però una cosa che mi piaceva meno: l’impressione è che non desse tanto allo studente, dal punto di vista accademico».
Gli scontri allievo-docente Ad un certo punto cercò di insegnarmi che nel mondo universitario di una volta bisognava sapersi vendicare per ottenere rispetto. Ma io non lo imparai