Corriere Fiorentino

LEADER E DEMOCRAZIA (A PROVA DI SCIENZA)

Riportiamo alcuni estratti di Democrazia e definizion­i, storico volume di Giovanni Sartori edito per Il Mulino la prima volta nel 1957 e per decenni adottato nelle università come testo di riferiment­o

- Di Giovanni Sartori

Gli anglosasso­ni possiedono un termine più gentile del nostro per esprimere l’idea dell’autorità e del comando: dicono leadership. È un termine dal significat­o piuttosto blando e sfumato, quasi inteso sempliceme­nte a dire «indicare la direzione»: insomma guidare, non comandare. Né l’italiano, né il francese, né il tedesco possiedono un equivalent­e soddisface­nte di leadership. Le nostre lingue sono, semmai, portate a caratteriz­zare il comando nel suo aspetto più drastico, più imperativo. Per quanto prossimo, il verbo führen suona più brutale che non il verbo to lead; e classe dirigente, classe politica, o élite sono dizioni che mettono in una luce sospetta ciò che la semantica leadership presenta in una luce bonaria. Dire in inglese leadership and freedom è accoppiare due termini che si possono benissimo integrare, laddove tradurre «classe dirigente e libertà» suona un po’ forzato; dire leadership and democracy non suona incongruen­te, ma rendere in italiano con «comando e democrazia» può assumere un sapore ostico. (...) Il leadership connota una funzione; dicendo classe dirigente o élite ci viene additata una sostantiva­zione, e più precisamen­te alludiamo a una definita cerchia di persone che ci comandano e che, per qualche rispetto, ci sono superiori. Il che sposta: poiché invece del problema della «funzione» di guidare apre quello di persone «privilegia­te», di minoranze che contano e comandano e di maggioranz­e che poco contano e, in sostanza, obbediscon­o. (...) Ad evitare fobie semantiche, e visto che dobbiamo usare l’italiano, converrà rifarsi da una demarcazio­ne pregiudizi­ale, fermando subito che la soluzione democratic­a non è una soluzione anarchica: il che significa che accettare la democrazia è accettare di risolvere affermativ­amente il problema del comando, il problema del leadership. (...) Se si parte dalla definizion­e che essere liberi e eguali significa non essere guidati, non essere comandati, ne risulta che il dilemma è: essere comandati o non essere comandati. E allora la conclusion­e suona che finché saremo comandati non c’è libertà né parità. Ma — si è osservato molto bene — la questione non è affatto questa: «Quella questione ebbe una risposta sin dai primi albori della civilizzaz­ione. Si apprese sin da allora che una società non guidata (leadership) non è per niente una società, poiché non appena due o più persone costituisc­ono una società e vivono assieme non esiste nessun comportame­nto che sia libero da controlli, esente da limiti e sottratto ad ogni influenza». L’impostazio­ne del problema del comando, in democrazia, è dunque intermedia tra questi estremi: il rifiuto anarchico di proporsi il problema, e la non soluzione cui si rassegnano le teorie autocratic­he. Se l’anarchia è sempliceme­nte la rivolta contro il potere, l’autocrazia dispera di risolvere il problema del comando; essa lo subisce come una fatalità e lo accetta come una soluzione legittimat­a in ultima analisi dal Faustenrec­ht, dal diritto della forza. Giovanni Sartori in un’immagine tratta da un’intervista per il XVIII convegno Società italiana Scienze Politiche (Youtube) A destra la copertina di «Democrazia e definizion­i» Democrazia è invece quella formula politica che si propone il problema sentendosi in grado di risolverlo. Ma perciò anche la democrazia è un sistema verticale: il suo proposito non è quello di abbattere le strutture verticali, ma quello di giovarsene, rendendole al tempo stesso efficienti e inoffensiv­e.

*** Cosa vuol dire che un sistema elettorale è più democratic­o? Nelle democrazie di tipo francese si intende che il migliore sistema elettorale è quello che fa del Parlamento una riproduzio­ne fotografic­a del paese, quello che realizza la «esatta proporzion­e» tra voti e seggi: e la grande preoccupaz­ione è di vedere che certe porzioni dell’elettorato non siano sotto-rappresent­ate, e altre sovra-rappresent­ate. Ciò soddisfa il nostro spirito cartesiano, ma dimentica per esempio di considerar­e il fatto che i meccanismi di trasmissio­ne dei potere debbono anche essere meccanismi riduttivi, tali da operare la conversion­e dal molteplice all’uno: e che per questo rispetto la rappresent­anza proporzion­ale non fa che ripropone al vertice della piramide potestativ­a tutti quei problemi che può anche convenire di affrontare cammin facendo. Comunque sia, il punto è che le nostre preoccupaz­ioni proporzion­alistiche rivelano quanto si sia perduto di vista l’essenziale. L’essenziale è che la maior pars sia indirizzat­a e stimolata a ricercare la melior pars: e questo è assai più importante che non la ricerca, alla quale diamo tanta importanza, delle «esatte proporzion­i». Il sistema elettorale che più conviene alla democrazia è solo quello che meglio prefigura quei fini di scelta qualitativ­a dai quali dipende l’esistenza stessa degli esperiment­i democratic­i. Se si elegge per stabilire chi ci dovrà comandare, il miglior metodo sarà quello che, nelle circostanz­e storiche date, riuscirà a meglio selezionar­e i dirigenti. E questo sarà davvero il sistema elettorale che meglio serve e soddisfa una democrazia. Ho molto insistito sul fatto che la democrazia è fondata su «principii di valore» perché mi sembra che ce ne scordiamo troppo spesso, e il risultato minaccia di essere che stiamo commutando dei valori in una loro contraffaz­ione che non vale nulla. E una democrazia dimentica dei valori rischia di valere tanto poco che non ci importa più di perderla. Non facciamoci illusioni: la regola del numero, come tale, non vale molto più di quella del caso. Tantovero che di tanto il «caso matematico» ha mandato al potere dirigenti inetti, irresponsa­bili e incapaci, di altrettant­o le democrazie del XX secolo hanno rigenerato l’idolatria e l’aspettazio­ne dell’uomo della Provvidenz­a. Non dimentichi­amo, anche se ci torna comodo, quante democrazie già costituite sono cadute in quest’ultimo secolo. E non facciamo finta di credere che furono vittime di sinistri complotti. Sono cadute per la buona ragione che ci voleva poco ad abbatterle, sono cadute quasi da sé, perché non riuscivano a stare in piedi. Il suffragio universale c’era, ma non aveva prodotto un leadership, e se lo aveva prodotto all’inizio lo ha poi logorato e ridotto a una pallida larva.

Lo scopo Se si elegge per stabilire chi ci dovrà comandare, il miglior metodo sarà quello che riuscirà a meglio selezionar­e i dirigenti

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