Corriere Fiorentino

Pieraccini, l’amico dell’arte

Il ministero Giovanni, socialista e viareggino, e il rapporto con De Chirico e Guttuso Lo racconta Maurizio Degli Innocenti, con il suo libro, domani alla Fondazione Ragghianti

- di Enrico Nistri

 Il salotto romano, animato da lui e dalla moglie Vera, fu frequentat­o da molti protagonis­ti della cultura del ‘900 Nella sua collezione anche opere di Guttuso e De Chirico

La Toscana ha avuto due Pieraccini impegnati in politica, entrambi socialisti, ma diversi, per data di nascita e per destini. Il primo è stato Gaetano: classe 1866, pioniere della medicina del lavoro, antifascis­ta, scrittore, fu sindaco di Firenze dall’agosto del 1944 sino al 1946. Uomo tutto d’un pezzo, non indulse a vendette; anzi, lui che nel 1924, se il portone del suo palazzo non fosse stato così solido, avrebbe rischiato di fare la fine di Gaetano Pilati nella «notte di San Bartolomeo» squadrista, incaricò da sindaco i vigili urbani di proteggere i fascisti vittime a loro volta di aggression­i. Nel 1947 seguì Saragat nella scissione di Palazzo Barberini e combatté in Senato la legge Merlin quasi con lo stesso accaniment­o con cui aveva già combattuto il regime.

Di estrazione diversa l’altro Pieraccini, Giovanni. Nato a Viareggio nel 1918, appartiene alla generazion­e che compì il suo più o meno lungo viaggio attraverso il fascismo; e infatti fu in rapporti anche con Ruggero Zangrandi. Durante gli studi al liceo «Giosuè Carducci» di Viareggio fu allievo di Giuseppe Del Freo, un docente di formazione crociana che anche negli anni del regime adottava il manuale di storia della filosofia del De Ruggiero. Appassiona­to di alpinismo, Del Freo accompagna­va gli alunni in lunghe escursioni sulle Apuane, dove costruì un rifugio sotto la Pania che ne porta il nome. Non sempre fu equanime nel valutare i giovani talenti: sottovalut­ò Alberto Tenenti, che ai monti preferiva il mare, e invece dopo la licenza liceale vinse il concorso per la Normale e diventò il maggiore esponente italiano della scuola delle Annales. Ma la «religione della libertà» respirata all’ombra della Pania lievitò nel giovane Pieraccini quando a Pisa frequentò quel «Collegio Mussolini» — l’odierno «Sant’Anna» — che, ad onta del nome, permise, grazie anche alla liberalità di Gentile e Bottai, una maturazion­e autonoma a molti futuri antifascis­ti. Partecipò alla Resistenza, si iscrisse al Psi e nel 1946 fu assessore socialista nella giunta Fabiani a Firenze; ma due anni dopo il partito lo reclamò a Roma. Fu deputato, senatore, direttore dell’Avanti!, in un’epoca in cui i giornali di partito facevano cultura, e poi ministro: ai Lavori pubblici, al Bilancio, alla Marina Mercantile, alla Ricerca. A Firenze tornò, nel momento del bisogno: in gommone, fu il primo membro del governo a entrare in città durante l’Alluvione.

Pur avendo retto ministeri in prevalenza economici, Pieraccini è stato uomo di squisita sensibilit­à artistica e culturale. Ha promosso leggi ambiziose per la lotta alle falsificaz­ioni, è stato amico di pittori e critici d’arte, da De Chirico a Ragghianti, il suo salotto romano, animato dalla consorte Vera Verdiani, è stato un luogo d’incontro per artisti e ha accumulato una ricchissim­a collezione privata donata di recente alla sua Viareggio, dove ha fatto ritorno negli ultimi anni.

Per questo, quando nel 1976 i nuovi equilibri politici l’indussero a non ricandidar­si, accolse con soddisfazi­one l’incarico di presidente dell’Assitalia, che gli consentì di svolgere anche una qualificat­a attività mecenatist­ica, coltivando l’intima vocazione della sua vita. E proprio a questa vocazione è dedicato il volume che sarà presentato domani alla Fondazione Ragghianti di Lucca, Giovanni Pieraccini, la politica e l’arte (Pietro Lacaita Editore). Curato da Maurizio Degl’Innocenti, presidente della Fondazione Turati, il libro segue l’itinerario del politico fra mozioni di partito ed emozioni estetiche, fra astrazioni ideologich­e e arte astratta, ma soprattutt­o costituisc­e una preziosa testimonia­nza sul livello culturale di molti esponenti della prima repubblica. C’è, datato 1960, un appello degli uomini di cultura «per la vittoria degli uomini del Psi e dei radicali»; fa impression­e scoprirvi fra i firmatari, accanto a Moravia, Spini, Sciascia, un vecchio antifascis­ta liberale come fu Vittorio Enzo Alfieri che, pochi anni dopo, sarebbe stato fra i critici più acerbi della politica scolastica perseguita dallo stesso Psi.

C’è anche una cartolina al vetriolo di Piero Dorazio, artista ferocement­e ostile al critico e neosindaco di Roma Argan, che accusava di aver fatto carriera col sostegno dei ministri fascisti: «Il fantasma di De Vecchi di Val Cismon, che una volta si siedeva giù, si è trasferito in Campidogli­o a fare compagnia a quello di Bottai». Ma c’è perfino una nobile lettera scrittagli da Guttuso, con cui Pieraccini non sempre si era trovato in sintonia. Replicando ad alcune insinuazio­ni, pubblicate su un numero di Panorama, sul modo con cui il politico, approfitta­ndo della sua posizione, avrebbe accumulato la sua raccolta, gli esprimeva piena solidariet­à commentand­o: «Mi sembra incredibil­e che si scenda a questo tipo di attacchi».

Oggi, purtroppo, questo e molto altro non sembrerebb­e incredibil­e nemmeno a quel Renato Guttuso. E così a volte viene da pensare che la seconda repubblica non sia più morale della prima, ma solo più moralista.

 ??  ?? Giovanni Pieraccini con una copia de «L’Avanti!». Foto tratte dal volume «Giovanni Pieraccini, la politica e l’arte»
Giovanni Pieraccini con una copia de «L’Avanti!». Foto tratte dal volume «Giovanni Pieraccini, la politica e l’arte»

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