MEDEA TRA DI NOI CON LAVIA ALLA PERGOLA
Da stasera a venerdì 23 Federica Di Martino veste i panni del personaggio di Euripide A dirigere lei e Simone Toni, direttore artistico del teatro fiorentino e Giasone «È un personaggio originario e originale, ci riguarda e ci chiama in causa tutti quanti
Per Firenze è una prima anche se lo scorso anno qualcuno l’ha vista al teatro di Fiesole. La Medea di Gabriele Lavia debutta stasera alla Pergola, con Federica Di Martino nei panni dello sconvolgente personaggio di Euripide e Simone Toni a fare Giasone. Lavia ne firma la regia attualizzando la vicenda della donna tradita che uccide i figli per vendicarsi del marito in procinto di abbandonarla preferendo a lei la scalata al potere.
Non è casuale la scelta di far indossare abiti contemporanei a protagonisti e coro: «Medea è un personaggio originario e originale» spiega Lavia. Dove originario sta per archetipico, rappresentativo, in potenza, di un sentimento che può albergare in ciascuno di noi, e originale sta per ripescato dalla tradizione, quella tradizione alta che è il Dna della nostra cultura, la tragedia greca. Anzi in questo caso la tragedia euripidea «genio maledetto e riottoso, malvisto in patria a cui però Sofocle, quando lui morì — si dice, aggredito da cani — dedicò uno spettacolo in cui gli attori recitavano senza coturni e maschere, e vestiti di nero, tanto è grande a volte l’essere umano» aggiunge l’attore e regista che ha disegnato per noi Euripide come se lo immagina lui. Che Lavia sia aduso a pescare nel mito classico non è un fatto nuovo, che stavolta abbia scelto Medea, ci racconta, «ha a che fare col fatto che volevo rappresentare una cupa tragedia familiare, convinto come sono che il grande teatro mette sempre in scena tragedie familiari». Dunque, ci anticipa, «in questa sua messa in scena non si calcherà la mano sull’origine barbara della donna (Medea arriva dalla Colchide e si è sposata con Giasone, a Corinto, dopo averlo aiutato, nella sua terra, nella ricerca del Vello d’oro ndr)». Il concetto va chiarito. Medea è barbara nel senso letterale del termine, cioè parla il barbar, o meglio balbetta la lingua greca, ma è superiore alla gente che le sta accanto perché viene dal saggio Oriente e come dice lei stessa «mio padre mi ha fatto studiare» anche se «sarebbe
bene che un padre impedisse alle figlie femmine di studiare perché sennò si fanno la fama di perditempo». Altissimo e modernissimo, anzi universale il testo euripideo, prova ne sia un altro brano in cui è sempre Medea a dire: «Non conoscevo la menzogna finché non ho sentito parlare in greco» e ancora: «Noi donne dobbiamo restare sempre in casa, gli uomini, se vogliono, possono uscire». È un testo di una semplicità e profondità disarmante conclude Lavia citando la fine della tragedia quando Giasone chiede a Medea perché ha ucciso i loro figli e lei risponde semplicemente: «Per farti soffrire». Cos’altro c’è da aggiugnere?
Si replica sino al 23 aprile