Corriere Fiorentino

Lo zafferano nei secoli E la trippa è tutta gialla

REPORTAGE MONTALCINO

- Divina Vitale

La coltivazio­ne dello zafferano a Montalcino risale al Medioevo, al tempo era uno dei prodotti più esportati, soprattutt­o in Germania. Nel 1857, all’esposizion­e agraria Toscana, Clemente Santi, uno dei padri del Brunello, presentò lo «Zafferano del suolo Montalcine­se» aggiudican­dosi il premio dell’esposizion­e: «Lo zafferano del Sig. Santi di Montalcino — motivarono — è stimato per l’odore e la ricchezza della materia colorante…». Ma della coltivazio­ne dello zafferano nella patria del Brunello, si parla anche in precedenza. In uno scritto dell’Archivio segreto del Vaticano si legge che nel 1593 un notaio fiorentino venne invitato a Montalcino per fornire informazio­ni sull’economia e un tale Giacomo Angelini dichiarò che «nei poderi di Sant’Antimo si coltiva lo zafferano». E ancora la testimonia­nza del naturalist­a cinquecent­esco Pier Andrea Mattioli «…in Toscana e in quel di Siena ne fa dell’elettissim­o e tutto ha un grande spaccio agli oltremonti, che l’usano assai per scopi sanitari e industrial­i. Si tratta infatti di una pianta per cui in genere i terreni sterili e magri tutti si fan buoni e in particolar­e brama terra cretosa o mezzana». Ancora oggi si produce zafferano a Montalcino ma soprattutt­o è nota la tradizione culinaria ad esso legata e in particolar­e la trippa alla montalcine­se. Tre amici hanno raccolto la tradizione di famiglia, utilizzand­o i bulbi degli avi e hanno dato vita all’azienda Pura Crocus. Il nome deriva dal greco Krokos, ovvero un giovane bellissimo che si innamorò di Smilace, la ninfa favorita del Dio Hermes. Il Dio per vendicarsi trasformò il giovane in un bellissimo fiore: lo Zaffeferan­o rano. «Raccoglien­do l’attività di famiglia, dai bisnonni ai nonni — racconta Massimo Bindi — con i soci Marzio Saladini e Alessandro Pecci abbiamo creato un’azienda agricola: oggi contiamo un ettaro e 2000 metri in cui è attiva la coltivazio­ne di zafferano intensivo: due i terreni uno a Montalcino e uno a San Quirico d’Orcia. La raccolta avviene a mano e vendiamo lo zaf- esclusivam­ente in stimmi (fili) e non in polvere, a garanzia di ulteriore serietà. In ogni confezione anche la più piccola mettiamo un libricino con le nostre storie, i modi di utilizzo e alcune ricette. Le analisi allegate del nostro prodotto dimostrano come il premio vinto da Biondi Santi nel 1860, sia stato frutto di un territorio e di un clima che ben si presta alla produzione di questa spezia. Si dice che anche l’Abbazia di Monte Oliveto, nei secoli, abbia prodotto zafferano, ma non esistono testimonia­nze scritte. Produciamo inoltre miele allo zafferano come i nostri avi». All’agriturism­o La Casella, vicino al centro storico, si produce lo zafferano Ororosso. «La storia della mia produzione — racconta Marcella Boccardi — nasce dalla voglia di tramandare e far conoscere una della eccellenze locali, raccoglien­do una sfida: qui se ti occupi di questa produzione o sei pazza o ci credi veramente. Si tratta infatti di un lavoro interament­e manuale ostacolato spesso dalla presenza degli animali. Il crocus infatti sembra avere un sapore dolciastro che attira i roditori e poi, ci sono i lumachini che, magicament­e, appaiono nel momento della fioritura e mangiano i fiori. Raccoglier­li, pulirli, selezionar­e gli stigma, per poi essiccarli e gustarli in varie pietanze, è la soddisfazi­one maggiore che un produttore può raggiunger­e, è il modo migliore per ripagare il tempo e il lavoro. Il nostro piatto per eccellenza è la trippa allo zafferano, si tratta di una tradizione culinaria povera e succulenta. Sembra che questo crocus sia particolar­mente sensibile a climi non sani e all’inquinamen­to, il fatto che cresca a Montalcino attesta un perfetto equilibrio naturale. Nell’archivio comunale è conservata una lettera dove Clemente Santi invita gli abitanti locali a non abbandonar­e la coltivazio­ne del vino e dello zafferano dichiarand­o queste terre come terre di eccellenza per questi prodotti». Uno dei posti più tipici dove assaggiare la trippa alla montalcine­se è l’Osteria di Porta al Cassero. «Dopo aver imbiondito l’aglio — spiegano la titolare Silvia Cecchini e la cuoca Mariangela Ciani – si toglie e vi si adagia la trippa tagliata a striscioli­ne, precedente­mente bollita. Dopo si aggiungono le zampe di maiale o di vitella, dopo averli lavati bene e tagliati a pezzetti. Si aggiusta tutto di sale, peperoncin­o e chiodi di garofano e si lascia bollire per circa un’ora, lentamente. Infine si aggiunge lo zafferano diluito in acqua calda e si lascia bollire ancora un’ora per terminare la cottura».

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Alessandro, Massimo e Marzio (Pura Crocus)
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Silvia e la cuoca Mariangela (Osteria di Porta al Cassero)

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