Corriere Fiorentino

Mille e cento Mehta: «L’Opera di Firenze come gli Uffizi e Pitti»

Il Maestro, la sua lunga carriera al Maggio, Firenze: «Qui come agli Uffizi e a Palazzo Pitti»

- di Chiara Dino e Lorella Romagnoli

L’incontro, nel suo camerino, si svolge durante una pausa dalle prove del Don Carlo di Verdi, l’opera amatissima che dirigerà per questo 80° Festival del Maggio.

Zubin Mehta fa il bilancio di cinquantac­inque anni di rapporto sempre più assiduo con quella che oggi chiama la sua orchestra: l’ha diretta 1.100 volte. Lo ha saputo proprio ieri pomeriggio: il conteggio lo ha fatto Francesca Zardini che sta curando il suo archivio e ricostruen­do la «sua» speciale storia di direttore d’orchestra. Questo è l’ultimo Maggio di Zubin Mehta come direttore principale, incarico che ha ricoperto fin dal 1985. È vicino il passaggio di consegne: nel 2018, è noto, il maestro indiano sarà direttore emerito a vita mentre direttore musicale sarà Fabio Luisi che è già consulente artistico del Teatro: «Non lo conosco bene, sono sicuro che farà un buon lavoro e ha un grande repertorio». Il cambiament­o è arrivato durante la soprintend­enza di Francesco Bianchi. Sul loro rapporto dentro il teatro non una parola, «sono andato bene anche con lui» dice a un certo punto. Però se gli si chiede qualcosa del cambio di ruolo chiude gli occhi, scuote la testa e sussurra «non ne voglio parlare».

Preferisce invece parlare del Don Carlo in scena dal 5 maggio con la regia di Giancarlo Del Monaco. «Di quest’opera amo tutto. Il testo di Schiller che mi ricorda la mia Vienna. Il periodo in cui è ambientata, i personaggi, e poi la corte di Filippo II che è sontuosa: era il re più ricco del mondo nella sua epoca». Unica pecca la scelta di fare la versione in quattro atti: «Ne ho sempre fatti cinque, ma non è dipeso da me». Sono giorni frenetici per il Maestro, che inaugurerà il festival il 24 aprile con accanto a lui due giovani e «bravissimi musicisti, di cui vado fiero»: il percussion­ista Simone Rubino e il violinista Michael Barenboim.

Parla lentamente, ogni tanto sbadiglia, ma ci rassicura: «No, non siete noiose voi. È un mio vizio, lo sanno tutti anche i miei amici con cui vado al ristorante. Non mi accade solo durante le prove». Mehta tra qualche giorno, il 29 aprile, festeggerà 81 anni, avrà un anno in più del festival fiorentino, sessant’anni di carriera alle spalle, un legame con il Maggio speciale e fortissimo, iniziato nel 1962 con un concerto nella stagione sinfonica, poi nel 1964 con Traviata, la sua prima opera lirica in Europa; nel 1969 la sua prima volta al Festival, la 32° edizione, «avevo 33 anni, ero un ragazzino». Tre i titoli lirici: «Aida, regia di Maestrini e poi il Ratto dal Serraglio di Mozart e il Fidelio di Beethoven con la regia di Giorgio Strehler, scene e costumi di Ezio Frigerio, «un grandissim­o»

L’album dei ricordi, dei debutti eccellenti, delle amicizie, dei successi, delle testimonia­nze civili in città (una su tutte, il concerto dopo l’attentato di via dei Georgofili) è sterminato. Cittadino onorario dal 1994 (allora era sindaco Giorgio Morales), laurea honoris causa dell’Università di Firenze nel 1999. Ha visto passare sindaci e sovrintend­enti, ha portato nel vecchio Comunale i più grandi musicisti, cantanti e registi del mondo. È stato protagonis­ta di spettacoli memorabili come il Ring della Fura del Baus che ama ricordare: «Lo organizzam­mo con Cesare Mazzonis e Helga Schmidt, un allestimen­to bellissimo». O la Turandot di Zhang Yimou a Pechino nella Città Proibita.

Protagonis­ta anche nel difendere i diritti dei lavoratori, nel lanciare appelli ai politici di turno quando il teatro era in crisi: per lui un artista non deve stare chiuso in una torre d’avorio, ma deve anche intromette­rsi, esprimere la propria opinione, far riflettere. Perché la musica può fare molto. Non a caso, ricordando i primi anni al Maggio, la memoria corre a quando riuscì a portare Barenboim e Jacqueline du Pré con la English Chamber Orchestra, Maurizio Pollini e ancora Claudio Abbado con la Israel Philharmon­ic. Erano gli anni di Remigio Paone alla guida del teatro: «Un vero impresario. Poi sono nate le fondazioni, una tragedia per la cultura italiana. Qui non c’è la tradizione di contribuir­e alla cultura. Anche perché non funziona come negli Stati Uniti dove lo sgravio fiscale è del 100 per cento». Fa una pausa e precisa: «Ora ci sono e non possono sparire, ogni città ha la sua storia e ha bisogno del suo teatro . Però i soldi del Fus non sono abbastanza». Ride e ci chiede «Che vuol dire Fus? Fondo niente per lo spettacolo?».

E i sovrintend­enti? «Il loro compito è raccoglier­e quello che non dà il governo». Ne ricorda alcuni: «Bogianckin­o? Grande amicizia e gioia. Anche con Merlini eravamo molto amici, con Francesca Colombo lo siamo diventati dopo. Giambrone? Uomo di grande qualità e cultura». Chiarot lo ha appena conosciuto e chiacchier­ando con noi sulla sua ricetta alla Fenice — turisti e repertorio — non si dice sfavorevol­e: «Perché no? Dobbiamo portarli qui i turisti, devono venire all’Opera come vanno agli Uffizi e a Palazzo Pitti. E poi Gucci e Ferragamo non sono alla portata di tutti, il teatro se lo possono permettere». Non ci sono solo le persone di teatro nella sua memoria, ma anche gli affetti: «Qui mi sono state aperte le case, una cosa che per esempio a Milano non mi è successa. Ho e ho avuto molti amici, uno su tutti Emilio Pucci, amava la cultura, lo conobbi a teatro, poi è venuto a casa mia a Los Angeles e siamo stati insieme in India. Io e Nancy siamo molto felici nella nostra casa vicino San Casciano, nella pura Toscana. Fino a qualche anno fa producevam­o l’olio, abbiamo duemila alberi, ma ora non più, perdevamo troppi soldi». E il futuro al Maggio? «Sarò un direttore ospite, ho già un impegno per il 2018 e stiamo ragionando anche sul 2019. Il mio sogno sarebbe fare qui Parsifal, unica opera di Wagner che non ho diretto». Non prevede invece tournée («ora c’è il nuovo direttore musicale») anche se aggiunge: «C’era un piano per andare in Cina con Turandot, ma non è ancora firmato. Quel Paese esplode, a Shanghai stanno costruendo una seconda Opera, sono entusiasti e riempiono i teatri». Il tempo stringe, Mehta deve tornare alle prove. Ora l’80° Maggio, poi Israele, Shanghai, la Scala, il San Carlo di Napoli, il Massimo di Palermo. Ma, «io sono fiorentino».

Tra passato e presente Io sono fiorentino, qui ho molti amici, dal prossimo anno sarò direttore ospite Ma sogno il «Parsifal» con la mia orchestra

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 ??  ?? 1969 In quell’anno la sua prima volta al Festival con tre opere: «Aida», regia di Maestrini (nella foto) e poi «Ratto dal Serraglio» e «Fidelio», regia di Strehler
1969 In quell’anno la sua prima volta al Festival con tre opere: «Aida», regia di Maestrini (nella foto) e poi «Ratto dal Serraglio» e «Fidelio», regia di Strehler
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Dal 2007 Tra gli spettacoli più amati da Zubin Mehta c’è il «Ring» di Wagner con la Fura dels Baus presentato nel vecchio Comunale
 ??  ?? 1998 Una memorabile «Turandot» con la regia di Zhang Yimou andata in scena con successo nella Città Proibita di Pechino
1998 Una memorabile «Turandot» con la regia di Zhang Yimou andata in scena con successo nella Città Proibita di Pechino
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