«Le nostre aziende sono in regola, Alitalia va chiusa»
Marenzi, primo Pitti al vertice: conquisteremo l’Australia
È alla sua prima settimana della moda fiorentina da presidente di Pitti Immagine, Claudio Marenzi. Ma qui è sempre venuto come numero uno del Sistema Moda Italia e come patron della Herno. E il nuovo incarico lo gratifica (tra l’altro è in scadenza al Sistema Moda alla fine del 2017) «innanzi tutto perché alla festa della moda fiorentina — dice — sono legato da ragioni sentimentali». Quali? «La prima volta che venni a un Pitti avevo 17 anni. Mi aveva portato mio padre, era un premio per il lavoro che avevo svolto da lui in azienda in estate. Passai tutto il tempo a scrivere (in gergo vuol dire a far ordini, ndr). Ero elettrizzato, allora ero un ragazzo di provincia che veniva dal lago Maggiore. Qui mi sembrava tutto bellissimo. E poi, anni dopo, la rinascita della mia azienda è partita da qui, tra il 20o5 e il 2006».
Voi ce l’avete fatta, ma in Italia molte aziende sono al collasso e Alitalia è l’esempio più eclatante. Perché?
«Alitalia andrebbe chiusa, è da 20 anni che ci trasciniamo questa storia. Noi del comparto moda dal 2000 ad oggi, per sopravvivere abbiamo sacrificato 100 mila posti di lavoro ma così abbiamo salvato il settore e pian piano abbiamo ricominciato a crescere. Lì andrebbe sbaraccato tutto e ricostruita una nuova compagnia con chi vuole assumersi l’onere della ristrutturazione, mi riferisco anche ai lavoratori del referendum».
Lei parla di una ripresa del comparto moda, ma non è così ovunque. Ci fa il quadro della situazione?
«In generale va bene l’export, l’Europa soprattutto e con la Spagna in testa, ma va bene anche il Regno Unito, malgrado la Brexit. L’America, mercato che l’anno scorso era cresciuto del 17 per cento, ora ha perso il 5 per cento. Ma non dipende dalla politica di Trump, lì stanno segnando il passo i grandi department store: penso a Macy’s che sta chiudendo 60 sedi. L’Asia si è un è po’ raffreddata ma riprende a crescere la Russia. È il mercato interno che non va».
Perché è diventato presidente di Pitti Immagine?
«La mia è una nomina in continuità con quella di Gaetano Marzotto che mi ha preceduto. Noi come Sistema Moda partecipiamo in Pitti per il 15 per cento. È evidente che siamo interessati al suo destino».
Dunque il suo ruolo a Firenze non cozza con quello al Sistema Moda, non c’è un conflitto tra gli interessi di Milano e di Firenze?
«No. Anzi lo scriva, questa della competizione Milano-Firenze è una grandissima bufala».
Lo scrivo, ma lei cosa si aspetta da questa edizione di Pitti?
«Tutti noi ci aspettiamo una maggiore attenzione da parte dei compratori australiani. La guest nation è tradizionalmente un’occasione non solo per conoscere la moda di una regione del mondo, ma anche per avere più buyer che arrivano da quei territori. Vale anche quest’anno. E poi ci aspettiamo anche una crescita d’attenzione da parte dei russi e del mondo asiatico».
C’è qualcosa nel programma che vuole enfatizzare?
«Trovo straordinario che una griffe glam come Louboutin abbia scelto Pitti per lanciare le sue sneaker. Vuol dire che non siamo solo un contenitore di ottime transazioni commerciali ma anche un’occasione per eventi fashion di livello. Lo stesso ragionamento vale per Jonathan Anderson».
Quando venni a Pitti per la prima volta avevo 17 anni: era il premio di mio padre per il lavoro che avevo fatto in estate nella sua azienda Continua a crescere l’export, il mercato interno invece non va La rivalità tra Firenze e Milano? Una bufala enorme