LA DIFESA DELL’ITALIANO È QUESTIONE NAZIONALE (NON SOLO NELLE SCUOLE)
Da qualche tempo suona l’allarme per la lingua italiana. Per la prima volta, il 24 febbraio, la Corte Costituzionale si è espressa sull’uso dell’italiano. Il pronunciamento della Consulta ha chiuso una vertenza intrapresa da alcuni docenti del Politecnico di Milano, che si sono rifiutati di accettare un ordine del loro Senato accademico sull’uso esclusivo dell’inglese per le lauree magistrali e i dottorati. La Consulta ha asserito che le università possono attivare corsi in lingua straniera, ma sulla base di criteri che garantiscano un’offerta formativa «rispettosa del primato della lingua italiana». La vicenda è raccolta in un libro della giurista Maria Agostina Cabiddu sul quale si è soffermata l’Accademia della Crusca il 4 maggio in una giornata di studio.
Ma non si tratta di una vicenda solo universitaria. Il Presidente della Crusca, Claudio Marazzini, ha ricordato che il problema dell’uso della lingua italiana è anche costituzionale. E ha richiesto di inserire nella Carta una norma, che manca, relativa alla lingua. Magari sul modello della Costituzione portoghese, che ritiene una funzione primaria dello Stato garantire l’insegnamento e la valorizzazione della lingua nazionale.
A febbraio seicento docenti universitari hanno chiesto un intervento urgente per un piano di emergenza che rilanci lo studio della lingua italiana nelle scuole elementari e medie. Non vale però difendere nostalgicamente la grammatica o l’ortografia. Piuttosto va sostenuto l’impegno, presente spesso solo sulla carta, di insegnare a parlare e a scrivere in un italiano comprensibile e vario ai nostri studenti come agli immigrati. Perché oggi il problema della lingua, non solo del nostro Paese, è connesso alla globalizzazione. Da un lato si alzano barriere fasulle a difesa dei dialetti. Dall’altro si cede al predominio di un inglese globale, il globish, gergo povero per la comprensione immediata, che azzera ogni varietà e ricchezza di comunicazione.
L’italiano, la quarta lingua più studiata al mondo, è un vettore di identità e di cultura. Sono italiani tanti termini internazionali, dalla musica all’architettura, alla moda. Si potrebbe attribuire un potere di controllo alla Crusca, un po’ come avviene in Francia. Anche valutando la conoscenza dell’italiano tra gli immigrati. Ma rimane centrale la volontà politica di fare della valorizzazione dell’italiano un compito primario dello Stato.
«I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo» scrive un filosofo. Non c’è male peggiore in una comunità di quello di non comprendersi, chiusi in un piccolo mondo di poche parole. Firenze lancia con la Crusca un appello a promuovere l’italiano «lingua e cultura di una nazione internazionale». Perché se comunichiamo e ci intendiamo, abbiamo sconfitto conflitti e paure.
Confusi Quante contraddizioni S’alzano barriere fasulle a difesa dei dialetti e poi si cede alla povertà comunicativa dell’«inglese globale»