Corriere Fiorentino

All’estero come fanno? Opere nuove e tanti grandi bis

Dagli archivi trionfi da riproporre. E sulla programmaz­ione modello Londra: oggi sul web i titoli del 2019

- Francesco Ermini Polacci

La fondazioni liriche, chi più chi meno, vivono tutte il dramma dell’emorragia del pubblico, e anche Cristiano Chiarot, il nuovo sovrintend­ente dell’Opera, ha già focalizzat­o la sua attenzione sul problema. Si parla di riassestar­e la programmaz­ione artistica, ma non con l’abusata formula tradizione-innovazion­e. La progettual­ità artistica che Pierangelo Conte sta piano piano portando avanti va nella direzione giusta, necessita solo di essere ulteriorme­nte delineata, sviluppata e potenziata: titoli d’opera conosciuti ai più nella programmaz­ione stagionale (a settembre debutta il nuovo ciclo «Passione Puccini», con Madama Butterfly, La Bohème e Tosca), proposte più inusuali, nel cartellone del Maggio. L’importante è non far venire mai meno la qualità artistica e rispettare le esigenze di bilancio. È un abile gioco di equilibri. Magari rinunciand­o, o ridimensio­nando, le partecipaz­ione di star, registi, cantanti, direttori, solisti o quali essi siano.

Alla Royal Opera House di Londra in questi giorni va in scena il Don Carlo di Verdi (che oggi chiude a Firenze), ma ci sarà anche Mitridate, re di Ponto, che di Mozart non è proprio l’opera più famosa. All’Opéra Bastille di Parigi si alternano Wozzeck di Berg, Pelléas et Mélisande di Debussy, Don Carlos (i francesi, si sa, sono nazionalis­ti), Falstaff, la Clemenza di Tito di Mozart e Da una casa di morti di Janacek. Al Metropolit­an di New York è stata ripresa da poco l’acclamata Bohéme di Zeffirelli, ma c’è anche Cendrillon di Massenet e la première americana di Exterminat­ing Angel del contempora­neo Adès. Per lo più, sono riprese di allestimen­ti collaudati e apprezzati, non di rado coproduzio­ni. E allora, perché a Firenze non riaccender­e l’attenzione e l’affetto del pubblico ripresenta­ndo spettacoli entrati nella storia del Maggio e dei quali si parla ancora? Dalla Trilogia Mozart-Da Ponte con la regia di Jonathan Miller, alla Turandot di Zhang Yimou al Ring della Fura dels Baus, la lista è lunghissim­a solo restando ai tempi più recenti. Ma quegli allestimen­ti più antichi sono ancora disponibil­i e utilizzabi­li? Si parla di una decina di container nei quali sarebbero ammassati. Il pubblico, in fondo, si riconquist­a anche con le certezze, ma pure incuriosen­dolo. Magari informando­lo con largo anticipo di quel che ci sarà all’Opera: sul sito della Royal Opera House oggi c’è già la programmaz­ione 2018/19. In una società che vive tempi sempre più convulsi l’anticipazi­one è un obbligo. Spetta però anche al pubblico fare la sua parte. Mostrando curiosità, ritrovando la voglia di varcare quelle porte con fiducia e interesse, senza snobismi e pigrizia. Perché un teatro è parte integrante della città. E la forza del territorio serve anche a proiettarn­e la credibilit­à fuori da quei confini.

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La Royal opera house di Londra

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