Welfare Il modello Murate per evitare i ghetti, ma lo spazio dov’è?
«Guardare avanti per anticipare i problemi». Lo slogan di Dario Nardella si concretizza in una conferma ed in una novità. La conferma è quella della quantità di fondi e nel livello dei servizi per il sociale: da ottenere, si immagina in alcuni settori, con ampia esternalizzazione come avvenuto nelle coop per la scuola dell’infanzia, visto il calo di risorse nazionali e locali. La novità tocca una battaglia, già lanciata, che aveva scatenato le polemiche: i criteri di assegnazione delle case popolari. Si era spinto a richiedere 10 anni di residenza per accedere alle liste di attesa, proposta già bocciata dalla Regione (anche perché già fermata dalla Consulta per provvedimenti analoghi presi in città di centro destra del nord). Quel tema non c’è più, ora Nardella cambia registro con un annuncio che è una piccola rivoluzione: «Non possiamo permettere che nascano ghetti nelle nostre città». Per evitarlo, pensa a strutture «più piccole, come il caso della Murate». Solo che quell’esempio, un progetto quasi utopico di integrazione tra sociale e culturale con case per anziani e «caffè letterari», oltre ad essere costoso, è nato dopo una gestazione di oltre un decennio. Ancora: non si vede a ora, nelle previsioni del Regolamento urbanistico, una pluralità di spazi del genere per interventi simili. E, inoltre, il più grande intervento sulla residenza è quello della Gonzaga: non case popolari, ma «housing sociale», per dare case a prezzi inferiori a quelli di mercato per quella nuova fascia di popolazione, dice Nardella «fuori dalle liste per le case popolari ma non abbastanza ricca per stare sul mercato». Un esempio di interventi per queste nuove fasce, che hanno bisogno di un «nuovo welfare», è la «casa dei babbi», per i genitori che dopo la separazione vedono un crollo nel reddito.
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