«Servono condanne più dure per la morte di Riki»
Magherini, via al processo d’appello. L’accusa: aumentare le pene per i carabinieri e condannare i volontari
Si ritorna in tribunale per la morte di Riccardo Magherini, l’ex calciatore morto a 39 anni il 3 marzo 2014 a Borgo San Frediano dopo essere stato fermato dai carabinieri. Si è aperto ieri il processo d’appello davanti alla terza sezione della Corte d’Appello (presidente Maria Luisa Romagnoli, giudici a latere Anna Favi e Paola Masi), a distanza di dieci mesi dalla sentenza di primo grado che ha condannato per omicidio colposo tre carabinieri (7 e 8 mesi) e ha assolto due volontarie della Croce Rossa. Qualche polemica all’avvio dell’udienza quando l’avvocato Fabio Anselmo, che assiste la famiglia Magherini, ha chiesto la fonoregistrazione, che non era stata prevista, dal momento che la prossima udienza in calendario è stata fissata per il 19 ottobre. «Assurda una discussione così diluita nel tempo» ha protestato l’avvocato Anselmo. «Il carico di lavoro non ci consente di fissare un’altra udienza prima delle ferie estive», ha ribattuto la presidente che alla fine è riuscita comunque a trovare un tecnico per registrare.
La Corte non ha permesso le riprese televisive, vista l’opposizione dei legali degli imputati, e anche questo ha provocato la reazione dell’avvocato Anselmo: «L’autorizzazione può essere data anche se c’è il no degli imputati nel caso in cui il processo abbia una certa rilevanza sociale. E cosa c’è di più rilevante di un processo come questo, in cui si parla di diritti umani?». Il sostituto procuratore generale Luigi Bocciolini — passato in Corte d’Appello dopo essere stato pm nel primo grado — ha chiesto pene più pesanti per i tre carabinieri, il maresciallo Stefano Castellano e gli appuntati Vincenzo Corni e Agostino Della Porta (un anno ciascuno) e condanna anche per le due volontarie della Croce Rossa (un anno per Claudia Matta, 8 mesi per Janeta Mitrea).
«Magherini è morto per un insieme di cause concorrenti — spiega Bocciolini — La posizione in cui è stato messo dai carabinieri, a faccia in giù, con le manette, ha reso difficile la respirazione e ha provocato l’arresto cardiaco. I volontari sono responsabili invece per non essere intervenuti. Lo scenario permetteva l’intervento: Magherini era silente, a faccia in giù e con due carabinieri sopra, non poteva essere pericoloso. Avrebbero dovuto iniziare le manovre di rianimazione, che, secondo la scienza medica, se iniziano entro 7 minuti dall’arresto cardiaco possono salvare la persona».
L’avvocato Anselmo ripercorre tutte le tappe di quella notte e tutte le testimonianze. Parla per oltre tre ore, fa ascoltare in aula le urla registrate dai telefonini e in un filmato in 3D ricostruisce le posizioni dei testimoni in Borgo San Frediano. Racconta anche che quando è stato chiamato dalla famiglia Magherini aveva la certezza che quella vicenda si sarebbe conclusa con un’archiviazione: «Ho detto subito che sarebbe stato un processo in salita e che non bisognava aspettarsi nulla. La sentenza di primo grado è illogica e piena di mistificazioni. Tutte le telefonate arrivate al 112 quella notte parlano di una persona agitata mai di persona violenta. Lui chiedeva aiuto, quando arrivano i carabinieri si sente rassicurato, si mette in ginocchio e abbraccia un militare. Non ha fatto male a nessuno, era solo preda della cocaina ma questo può giustificare la sua morte? Come può un giudice scrivere in una sentenza che i calci che i testimoni hanno visto sferrare contro di lui erano funzionali all’arresto? Un uomo ammanettato e messo per terra a faccia in giù dove poteva andare?».