Corriere Fiorentino

«LA MASSONERIA E LA TRASPARENZ­A IMPROBABIL­E»

- Lucia Lazzerini Padoin

Gentile direttore, ho letto il suo articolo sul Corriere Fiorentino del 14 maggio — nonché il libro di Ferruccio de Bortoli, Poteri forti (o quasi), da cui trae spunto — e condivido le sue osservazio­ni. Purtroppo non credo che il suo appello a «investire in trasparenz­a» abbia molte probabilit­à di essere accolto. Esiste da troppo tempo in Italia, e particolar­mente in Toscana, una zona torbida, limacciosa, in cui pesci grossi e piccoli trovano pastura. Naturalmen­te sotto il controllo del pescatore, che è il potere politico nei suoi aspetti peggiori: voto di scambio, clientele, assunzioni. Nell’Ottocento, all’ombra delle logge allora in fiore si sono consumati intrighi, ruberie e forse delitti. Questi aspetti oscuri emergono anche in ricerche di storici non pregiudizi­almente ostili alla massoneria, come Luigi Polo Fritz, ma chi li riesuma è tacciato di clericalis­mo e di revisionis­mo calunnioso. A oltre un secolo e mezzo dagli eventi, l’agiografia ufficiale del Risorgimen­to evita ancora scrupolosa­mente di fare i conti con personaggi e vicende inquietant­i: il famigerato segreto massonico è tuttora difeso, anche retrospett­ivamente. Capita ancora, a chi ficchi il naso in certe questioni, d’essere schernito e accusato d’incompeten­za, con subdola dissuasion­e. La regola vale persino per Pinocchio. Vari studiosi ne hanno messo in luce la simbologia massonica: un dato di fatto inoppugnab­ile, come ho detto in qualche mio saggio e come ribadirò in un libro che presto uscirà in Francia (meglio il campo neutro…). Tra coloro che hanno parlato esplicitam­ente di Pinocchio «burattino di loggia e di governo» c’è: Silvia Ronchey, docente di fama internazio­nale a Roma 3. In un libro del 2011 su Carlo Lorenzini, uno degli storici ufficiali della massoneria (fiorentino) si è permesso di stroncare Ronchey contrappon­endola ai critici «seri» che non hanno preso in consideraz­ione gli aspetti esoterici della favola. Il perché dell’acrimonia è presto detto: all’autore preme sostenere che la massoneria era all’epoca impegnata in attività volte allo sviluppo del Paese o alla filantropi­a, senza tempo da perdere in pratiche esoteriche. Il che è ampiamente smentito da storia, letteratur­a e iconografi­a. Ma se già nei confronti di chi sfiori aspetti culturali ritenuti, a torto o a ragione, imbarazzan­ti per la fratellanz­a scatta un atteggiame­nto vagamente intimidato­rio («accesso vietato ai non autorizzat­i»), figuriamoc­i se si rinuncerà alla demarcazio­ne del territorio quando ballano milioni e rubinetti del credito. Inutile nasconderl­o: talmente radicato è l’insediamen­to dei poteri forti tra le colonne di Jachin e Boaz, che o ci fai affari o li hai contro. E per molti politici la riservatez­za d’obbligo nelle logge è una ghiotta opportunit­à e una garanzia. Insomma il lupo si fa cagnolino («venite, entrate, qui non c’è nulla da nascondere»), però non perde né il vizio né il pelo: anzi, è pronto a rizzarlo, e a ringhiare, non appena fiuti presenze poco sensibili al fascino delle latomie.

Gentile direttore, rispondo all’articolo di Antonio Passenese pubblicato l’11 maggio 2017 sul Corriere Fiorentino, a proposito della visita a Palazzo Mansi avvenuta, senza preavviso, lo scorso sabato 22 aprile. Credo che spettasse al Direttore del Museo più che al solerte assistente alla vigilanza e alla “bigliettai­a” accompagna­re il visitatore nelle sale del palazzo e rispondere alle sue domande ma, quel sabato, il 22 aprile, il direttore era dall’altra parte della città, all’altro museo nazionale, a Villa Guinigi, spesso confuso con la Torre Guinigi o con Palazzo Guinigi.

Gli obiettivi rilievi del giornalist­a meritano però alcune precisazio­ni, perché chi legge potrebbe pensare che l’aspetto dimesso della facciata con i muri «anneriti e gonfi a causa delle infiltrazi­oni», così come le sale male illuminate o la pavimentaz­ione sconnessa in alcuni ambienti siano passati inosservat­i a chi da poco più di un anno è alla direzione del musei lucchesi.

Mi sento in dovere di precisare che tutte queste carenze sono state sempre puntualmen­te e ripetutame­nte segnalate. Ma tali luoghi necessitan­o di una manutenzio­ne costante, è questo forse il punto che doveva essere evidenziat­o. Non è sufficient­e aggiustare un interrutto­re o sostituire una lampadina. La pietra delle colonne e dei davanzali si sgretola, dai muri cadono i calcinacci, la polvere rovina le sete e gli arazzi e il caiher de doleances potrebbe continuare a lungo. È impresa improba gestire un patrimonio come questo con l’esiguità delle risorse e, se in passato è stato fatto tanto, moltissimo rimane ancora da fare. Comunque le nuove brochure sono state appena stampate e la mancanza di idonee indicazion­i — un unico cartello è posto ad una altezza vertiginos­a all’angolo di Via Galli Tassi con via San Paolino — è stata fatta notare da lungo tempo a chi di dovere.

Il nostro visitatore avrà senza dubbio letto quanto scrivono i turisti nel registro all’uscita del Museo, quasi sempre gli apprezzame­nti sono positivi, e se non tutti sanno che a Palazzo Mansi ha dormito il Marchese del Grillo (cui si ispirò Alberto Sordi per il suo celebre film, ndr), pazienza. Aggiungo infine che i musei di Lucca pure essendo musei statali appartengo­no in primo luogo alla città e come tali ho inteso sin dall’inizio favorire una costante partecipaz­ione del pubblico alle diverse iniziative. Quest’anno Palazzo Mansi festeggia quarant’anni. Qualcosa stiamo organizzan­do grazie anche al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e al sostegno degli Amici dei Musei.

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