LEGAMI DA SPEZZARE
«Un terremoto». Così in via dello Steccuto, a Firenze, i dirigenti delle Misericordie nazionali e toscane, definiscono lo scandalo dei loro confratelli di Isola Capo Rizzuto, in Calabria. Terremoto, e non a caso. È infatti soprattutto con il terremoto dell’Irpinia del 1980 che le Misericordie sbarcano in Campania e da lì iniziano a diffondersi in tutto il Sud.
Le confraternite di Misericordia, la più antica forma di volontariato, fondate a Firenze nel 1244, nascono, come dire?, per germinazione virtuosa. Chiamate negli inferni dei cataclismi si distinguono per generosità e efficienza al servizio delle vittime e dei bisognosi. E così finiscono per essere imitate e per proliferare. Dalla Toscana le Misericordie si sono diffuse, in particolare dal dopoguerra, soprattutto nel Centro-Sud della penisola. Oggi vantano 700 sedi, oltre 600 mila confratelli, 100 mila dei quali attivi in servizi di volontariato con circa 5 mila mezzi. Metà di queste Misericordie e relativi confratelli sono toscani.
Questo spiega perché a Firenze si trovi la sede nazionale della federazione delle Misericordie. E soprattutto si vivano giorni di preoccupazione e allarme per lo scandalo calabrese dell’infiltrazione della ‘ndrangheta nel Cara, il centro di accoglienza di richiedenti asilo di Isola Capo Rizzuto, gestito dalla Misericordia locale. Il centro di questo tipo più grande di Europa. Che dal 2006 al 2015 ha usufruito di un finanziamento europeo di 103 milioni, di cui oltre il 30% sarebbe finito nelle casse della cosca degli Arena, affiliata alla ‘ndrangheta. Grazie alla complicità di Leonardo Sacco, presidente delle Misericordie calabresi e lucane e del parroco di Isola Capo Rizzuto, don Edoardo Scordio, correttore, cioè guida spirituale dei confratelli.
Da Firenze sono partiti per Isola Capo Rizzuto i dirigenti toscani Alberto Corsinovi e Gionata Fatichenti per mettere ordine e riparare ad uno scandalo dalle conseguenze pesanti per le Misericordie. Dalla credibilità infangata al rischio di un calo sensibile dei proventi derivanti dal 5 per mille. Non sarà facile il compito dei due dirigenti toscani.
E non basterà commissariare un po’ di Misericordie calabresi. L’accoglienza dei migranti, i servizi sociali, il welfare attirano infatti cospicue risorse pubbliche e di conseguenza diventano appetibili per la criminalità organizzata. Che si infiltra nei samaritani del nostro tempo come il lupo che si trasforma in agnello della celebre favola di Esopo. Emblematica al riguardo la figura di don Scordio. Uno e bino. Nicola Gratteri, il procuratore dell’inchiesta sulle infiltrazioni delle cosche nel centro di accoglienza, che ha portato al fermo di 68 persone, tra cui, appunto, il prete e il capo delle Misericordie calabresi, nel libro Acqua Santissima sui rapporti tra la Chiesa e la ‘ndrangheta, si diffonde in elogi per don Scordio, «noto per le sue coraggiose omelie ai funerali di alcuni mafiosi della zona». Mentre don Luigi Ciotti, presidente di Libera, a Gian Antonio Stella — sul Corriere della Sera di ieri — dice che le accuse contro don Scordio non sono state per lui una sorpresa e ricorda gli attacchi subiti dal prete calabrese per i beni confiscati alla mafia. Da prete antimafia all’accusa di collusione con la ‘ndrangheta è l’ambigua parola sacerdotale di don Scordio.
Le infiltrazioni si arginano male. Occorrono regole e controlli ferrei. Nuovi modi forse di selezionare i dirigenti. Ma soprattutto pesano ancora i rapporti tra parte della Chiesa e la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra. Negli ultimi decenni diversi preti sono stati uccisi — da don Puglisi a don Diana — e due papi, Giovanni Paolo II e Francesco, hanno tuonato contro la cosche. «La ‘ndrangheta è adorazione del male e disprezzo del bene comune», spiegò tre anni fa l’attuale pontefice. Forse però si può fare di più. E le Misericordie legate al mondo ecclesiale hanno bisogno di una Chiesa decisamente schierata contro gli «adoratori del male».