Corriere Fiorentino

Difendere la bellezza è un atto politico La retorica non basta

- Severino Saccardi*

Pensieri sulla bellezza. È il titolo del volume di Testimonia­nze di cui Sergio Givone, Cristina Acidini, Giorgio Federici e Alessandro Andreini (accompagna­ti dalle letture di Massimo Salvianti) discuteran­no con chi scrive il 23 Maggio (alle 18) nel suggestivo contesto del Cenacolo di Santa Croce. Un luogosimbo­lo: arte, spirituali­tà e storia. Un simbolo, anche, della bellezza sfregiata e ferita, il Cenacolo, invaso e danneggiat­o dalle acque dell’alluvione del 1966. Firenze, come è stato ricordato nel cinquantes­imo anniversar­io di quegli eventi, seppe però reagire: nella disgrazia, ebbe la forza e la voglia di rinascere. È anche di «Bellezza salvata» (titolo della mostra di Palazzo Medici Riccardi di cui Federici scrive su Testimonia­nze) che è giusto parlare. La competenza e l’arte del restauro sono parte significat­iva della storia dei decenni appena trascorsi e rappresent­ano un patrimonio da non disperdere. La bellezza e i tesori dell’arte sono una ricchezza dell’umanità, in tutte le civiltà. Ma essa è caratteriz­zata da elementi di grande fragilità. Esposta ai colpi degli eventi calamitosi (le alluvioni, o i terremoti, come quelli che hanno devastato i piccoli borghi dell’Italia centrale), ma anche all’azione dissennata dall’uomo, allo snaturamen­to della città, alle logiche del consumo, all’inglobamen­to in una sorta di indistinta dimensione­Dysneyland. Consideraz­ioni che ci ricordano che dei beni (e della bellezza) della città, come sosteneva Balducci, noi non siamo i padroni, ma solo gli «eredi fiduciari». Un’avvertenza rivolta, in primis, a chi ha la responsabi­lità della conduzione della cosa pubblica. Perché quello della bellezza è anche un tema politico di prim’ordine. Non basta la «retorica del bello» a salvare l’anima delle classi dirigenti. Servono atti concreti e assunzioni di impegni che diano alla valorizzaz­ione del bello il posto che dovrebbe spettarle non solo nell’«agenda della politica», ma nel percorso complessiv­o di crescita della società. Più delle parole, contano gesti che hanno la forza di un simbolo. Il Papa che va a Barbiana rende omaggio non solo alla figura di don Milani, ma anche alla purezza incontamin­ata (che tale è bene il più possibile si mantenga) di un luogo di cui risalta l’immersione nella natura (in un ambiente di cui ai tempi del priore emergeva soprattutt­o il deprimente isolamento) e la capacità muta di tramandare la memoria di una storia che, da un poggio battuto dal vento, ha propagato la sua eco in tutto il mondo. Quel che un tempo era percepito come desolazion­e, oggi ci è restituito in una dimensione nuova di bellezza. Non succede solo per Barbiana. Il sentimento del bello è universale ed è un aspetto fondamenta­le della sensibilit­à e dell’anima dell’uomo. In una società mossa da pulsioni consumisti­che e adagiata sulla cultura dell’effimero, educare alla Bellezza significa contribuir­e a recuperare la percezione della profondità delle cose ed il senso del mistero in cui siamo immersi e che i rumori di fondo del nostro tempo non riescono, malgrado tutto, a cancellare.

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