«Il ministero abbia coraggio, faccia gestire tutto a privati»
«La riforma Franceschini è un work in progress e avrebbe bisogno di alcune modifiche per imprimere l’acceleratore sull’autonomia dei musei». Patrizia Asproni è una decisa sostenitrice della nuova organizzazione del ministero dei Beni culturali e dei musei, anche se ne ravvisa non poche pecche. «E non consideri il ministro lesa maestà i rilievi che facciamo. La filosofia secondo me è corretta, ma questa riforma manca di coraggio. La politica, lo so, quando affronta un grande cambiamento deve tenere conto di una levata di scudi passatista, ma doveva accelerare il processo di ammodernamento e può e deve farlo anche adesso».
Lei è stata presidente della Fondazione Torino musei prima di arrivare qui a Firenze dove è alla guida del Marino Marini — allora lasciò la città del Lingotto in rotta col sindaco Chiara Appendino — e allo studio della gestione museale ha dedicato tempo ed energie non solo per i suoi incarichi istituzionali ma anche in forza dei suoi contatti internazionali. Oggi, all’indomani della sentenza col cui il Tar ha dichiarato illegittimi cinque direttori dei venti musei autonomi italiani — non i «fiorentini»— ha parecchie cose da dire.
Che è successo secondo lei? Perché questa sentenza? C’è un vulnus nella riforma?
«La sentenza del Tar trova sostanza nel nostro processo legislativo. In Italia ci sono troppe leggi e fatta una non si abroga la precedente. Le normative nuove vengono sovraimpresse sulle vecchie creando caos e possibilità di interpretazione. Anche i giuristi sono in difficoltà. Nel caso in esame, per esempio, l’articolo 38 della legge del 2001 sulla funzione pubblica parla dell’obbligo di affidare a cittadini italiani funzioni dirigenziali in ambiti che si occupano di tutela dell’interesse nazionale. Bisogna capire se per questo interesse nazionale si intendono solo i gangli sensibili dello Stato, servizi segreti e polizia, — come ha detto Sabino Cassese — o va interpretato in senso più esteso. Comunque sia la cosa va interpretata. E il ricorso è dunque dietro la porta. Vorrei aggiungere che è inammissibile che questa sentenza sia arrivata a mesi dall’insediamento dei direttori, quando loro hanno già firmato un contratto, si sono trasferiti e hanno lasciato un altro lavoro». Inopportuno? «Sì come è stato inopportuno quanto ha twittato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan poche ore dopo la notizia della sentenza. Cito testualmente: “Il cambiamento della pubblica amministrazione facilita la vita dei cittadini. Se è diffuso, migliora il benessere” A me pare quanto meno fuori tempo». Torniamo alla riforma. «Sa perché non funziona? Non si dà un’autonomia vera quando i direttori non possono intervenire su organico e personale (in realtà a Firenze gli Uffizi possono prendere personale Ales anche pagandolo in autonomia, ma non vale per tutti i musei, ndr). Significa che non solo non possono licenziare, ma neanche dare incentivi, valorizzare qualcuno spostandolo di reparto o sottodimensionare un altro perché faccia meno danno. Che autonomia è questa? A metà appunto. Io sono convinta che in Italia il ministero dovrebbe avere il coraggio di avocare a sé solo la tutela del Beni culturali e lasciare a una gestione di tipo privatistico e del tutto autonoma la promozione e valorizzazione. Mi auguro che il caos della sentenza acceleri questo progressivo cambiamento».
Parliamo del caso Firenze. La direttrice del Bargello e quella dell’Accademia (Paola D’Agostino e Cecilie Hollberg) lamentano il fatto che, nelle ripartizioni delle risorse di organico dell’ex Polo Museale fiorentino, gli Uffizi hanno fatto la parte del leone perché gli sono stati assegnate una serie di figure tra cui architetti interni ma soprattutto funzionari in grado di redigere un bilancio e preparare gli stipendi. Hanno ragione?
«Direi di sì. Anche in questo caso credo che si sia diviso l’ex Polo museale senza tenere conto che alcune figure che prima erano centralizzate servivano a tutte e tre le realtà. Bisognava dunque, dotandole di autonomia, dotarle anche di queste figure professionali».
Ma stando così le cose come devono fare le due direttrici per i loro bilanci?
«Uno studio di Boston Consulting, commissionato dall’associazione Civicum, ha creato uno schema di bilancio sulla base di quello di 26 musei che hanno aderito allo studio stesso. Andrebbe adottato da tutti i 450 musei statali».
La sentenza del Tar trova sostanza nel nostro processo legislativo: nel nostro Paese ci sono troppe leggi, e fatta una non se ne abroga un’altra Che autonomia è questa? Una svolta lasciata a metà In Italia al governo dovrebbe rimanere soltanto la tutela dei Beni culturali