Bruciata viva per averlo lasciato Trent’anni all’ex
Lucca, condannato l’ex della donna uccisa ad agosto. «Ma meritava l’ergastolo» Livorno
Trent’anni di carcere per omicidio volontario aggravato da premeditazione, crudeltà e atti persecutori. Ma niente ergastolo, come invece aveva chiesto il pubblico ministero. È la sentenza di condanna per Pasquale Russo, l’uomo di 47 anni accusato di aver cosparso di benzina e bruciato viva il 2 agosto dello scorso anno Vania Vannucchi, la sua ex. La donna, 46 anni, operatrice sociosanitaria, morì all’alba del giorno seguente, dopo 18 ore di agonia. Un’azione omicida mossa da un movente passionale, quella avvenuta in un piazzale interno all’ex ospedale Campo di Marte di Lucca, che suscitò orrore e indignazione in tutta Italia.
Il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Lucca Antonia Aracri ha inflitto a Russo l’ergastolo che, per effetto dello sconto di pena garantito dal ricorso al rito abbreviato scelto dai suoi legali, si è trasformato in una condanna a 30 anni. Il pm aveva invece chiesto l’ergastolo con isolamento diurno: se la sua richiesta fosse stata accolta, la pena sarebbe stata commutata in un ergastolo semplice. Pur riconoscendo le aggravanti, il giudice potrebbe non aver ritenuto che i reati accessori (stalking e furto aggravato di un telefono cellulare) costituissero, sommati fra loro, una pena superiore ai 5 anni, a differenza di quanto sostenuto dal pm: da qua la condanna complessiva all’ergastolo semplice, poi commutata per via del rito abbreviato in 30 anni di carcere.
Russo non era presente ieri in aula. «Non me la sento di affrontare lo sguardo dei genitori di Vania», avrebbe detto nei giorni precedenti al processo ai suoi legali, incontrandoli nel carcere di Prato dove è recluso. C’era invece Alvaro Vannucchi, padre della vittima e personaggio notissimo in città per il ruolo ricoperto da anni di massaggiatore della squadra di calcio della Lucchese. Al suo fianco, la moglie. All’uscita dal tribunale i genitori di Vania non hanno voluto commentare la sentenza, mantenendo quel silenzio composto che avevano già tenuto nei giorni successivi alla tragedia. A commentare la decisione del giudice è invece Elena Libone, l’avvocato della famiglia: «Un po’ di amarezza c’è — dice — L’ergastolo avrebbe avuto senza dubbio un altro significato simbolico e psicologico, visto che stiamo parlando di una pena a vita contro una che, per quanto severa, ha comunque una fine». I legali di Russo, Gian Felice Cesaretti e Paolo Mei, attenderanno invece di leggere le motivazioni della sentenza per valutare eventuali ricorsi in Appello. Quel 2 agosto 2016 Pasquale Russo chiese un incontro a Vania: lui non accettava il fatto che lei lo avesse lasciato e non volesse ricominciare la relazione. La notte prima era entrato in casa della donna e le aveva rubato il cellulare, per costringerla poi a presentarsi ad un appuntamento dietro l’ex ospedale Campo di Marte. Russo si presentò con una tanica di benzina: dopo un breve litigio gliela versò addosso e le diede fuoco. La vide correre e cadere a terra, avvolta dalle fiamme, ma si girò e risalì sullo scooter. Pochi minuti dopo la polizia bussò alla porta di casa sua,in una frazione di Capannori, indirizzata proprio dall’ultimo disperato grido di Vania, rivolto ai soccorritori prima di entrare in coma: «È stato Pasquale». Con la sentenza di ieri il giudice ha stabilito anche risarcimenti complessivi per circa un milione e 160 mila euro: 249 mila euro a testa per i suoi genitori e i due figli, più altri 160 mila euro per l’ex marito.
«Il Comune non chiederà la restituzione dei tre dipinti di sua proprietà dalla mostra allestita a Genova e dedicata ad Amedeo Modigliani. Quello che chiediamo l’immediato ritiro delle 13 opere sospette e soprattutto che i curatori dell’esposizione facciano chiarezza su come sia potuto accadere questo “incidente”». Lo dice il sindaco di Livorno Filippo Nogarin dopo la denuncia di Carlo Pepi, esperto dell’artista livornese, che aveva lanciato l’allarme sulla presenza di numerose opere false alla mostra dedicata a Modigliani allestita a Palazzo Ducale a Genova. «Se i quadri non saranno ritirati saremo costretti a chiedere la restituzione dei nostri dipinti per tutelare l’immagine della città e di Modì», dice Nogarin. (Valentina Marotta)
L’ammissione Russo non era in aula: «Non riesco ad affrontare lo sguardo dei genitori»