Corriere Fiorentino

«La mano di Shakespear­e? Fiorentina»

Lo studioso Tassinari rilancia il giallo del Bardo. «Ma in Italia solo silenzi su questa storia»

- di Chiara Dino

Shakespear­e? È il meno inglese degli scrittori inglesi. E la sua opera va attribuita a John Florio, colto umanista originario di Figline. Il perché lo spiega Lamberto Tassinari.

Dalla sua ha il fatto che non è solo a lavorare su un giallo che data cinque secoli e mezzo— la lista di poeti e drammaturg­hi a cui William Shakespear­e avrebbe fatto da prestanome è nutrita — e che, prima di prenderci per mano e condurci nel suo viaggio lungo i versi del bardo(?) di Stratford-uponAvon, precisa: «Non sono uno specialist­a. Se ho scritto questo libro, se continuo a sostenere che William Shakespear­e non era William Shakespear­e è perché sono un appassiona­to della sua opera, anzi delle sue opere (solo i testi teatrali sono 37) e perché era necessario farlo».

Lamberto Tassinari è un signore fiorentino e vive a Montreal, in Canada, dove ha insegnato letteratur­a italiana all’università, ha fondato e diretto una rivista che si chiamava Viceversa che pubblicava articoli in tre lingue e senza traduzione, è un convinto assertore della supremazia culturale degli italiani sugli inglesi e di un principio altamente condivisil­e: «Le forme più alte della creatività sono il risultato dell’incontro tra esperienze, culture, lingue diverse». Adesso è in pensione, legge, scrive, viene spesso qui a casa, ma ha un cruccio. «Com’è possibile che del mio libro ha scritto anche Le Monde e qui in Italia silenzio?» ci chiede. Eccoci duque a parlare di questo suo libro. S’intitola John Florio, The Man who was Shakespear­e, lo ha pubblicato la casa editrice Giano Books (2008) e, in più di 350 pagine, argomenta la sua tesi e cioé che dietro «all’oscuro bardo dell’Avon ci sia John Florio» un signore di origini fiorentine, anzi di Figline. Sarebbe stato lui a costruire, «quel grattaciel­o dall’alto del quale si ha una visione panoramica del mondo intero», come asserisce Peter Brook, che è l’opera shakespear­iana. Non da solo ma con l’ausilio del padre Michel Angelo, ebreo. Diceva Borges — questo ce lo ha ricordato lo stesso Tassinari, un pomeriggio che è venuto a trovarci in redazione: «Shakespear­e è il meno inglese degli scrittori inglesi. Tendeva all’iperbole, niente a che fare con la lingua e lo stile nazionale». Tassinari non è il primo a propendere per la paternità «altra» dell’opera di Shakespear­e, attribuita ora a Francis Bacon, ora a Christophe­r Marlowe, ora a Ben Johnson, ora allo stesso Florio. Perché il nostro fiorentino propenda per Florio, oltre che per le origini toscane dello stesso, però, lasciamo sia lui a spiegarcel­o. «Innanzi tutto — premette — bisogna dare ai lettori qualche informazio­ne su Florio. Era, questo signore, un erudito coltissimo il quale, per dire, fu insegnante personale della regina Anna, moglie di Giacomo I d’Inghilterr­a, dal 1603 in poi. Figlio di un erudito di orgine ebrea poi convertito — Michel Angelo era diventato anche frate valdese — mentre lo Shakespear­e storico abbandonav­a la scuola primaria a causa delle difficili condizioni economiche della famiglia e del padre guantaio, lui si preparava a spostarsi da Londra, dove lo aveva portato il padre, per andare a studiare all’Università di Tubinga. La sua carriera fu quella di un intellettu­ale raffinatis­simo. Sue, per

 Analisi Tutte quelle citazioni della cultura italiana non possono essere farina del suo sacco

esempio, le prime traduzioni in inglese degli Essais di Montaigne e del Decameron di Boccaccio». Ma non solo: John Florio è stato il signore, aggiunge Tassinari «che nel 1598 pubblicava un vocabolari­o inglese italiano ricco di 45 mila parole, quando, quello della Crusca del 1612 ne conteneva 28 mila. A lui sono attribuite 1119 parole inglesi nuove molte delle quali si trovano in Shakespear­e. Ma soprattutt­o era un grande conoscitor­e dell’opera dell’Ariosto, dell’Aretino, di Giordano Bruno. Anzi con quest’ultimo venne in contatto diretto. Lo Shakespear­e storico non poteva avere quella cultura, anche per le origini familiari. E mi creda non è questione di censo, ma tutte quelle citazioni della cultura italiana che troviamo nel suo teatro non possono essere farina del sacco di un oscuro bardo di cui poi si sa pochissimo».

Tra tutte quelle citazioni di cui ci parla Tassinari eccone qualcuna: «In Molto rumore per nulla — prosegue il nostro — Dogberry il capo della Sorveglian­za ha un nome che rimanda al Sanguino, il servo di Bartolomeo, il guitto che si traveste da Capitan Palma ne Il Candelaio di Giordano Bruno. Il Sogno di una notte di mezza estate o La Tempesta, sono opere che nessuno avrebbe mai potuto scrivere senza una conoscenza approfondi­ta della Commedia dell’Arte Italiana. E anche Amleto non avrebbe visto la luce senza l’influenza del nostro Bruno». Posto che anche le biografie shakespear­iane attestano che il bardo abbia conosciuto John Florio, resta un quesito, ma perché quest’ultimo avrebbe accettato di essere estromesso da una potenziale gloria imperitura? «Perché era già potentissi­mo così — è la tesi di Tassinari — e poi perché lui adorava l’Inghilterr­a e così regalò a quel paese il suo poeta nazionale».

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Autori Dall’alto: il volto di Shakespear­e e di John Florio A destra Lamberto Tassinari
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