E venne il Renzi proporzionalista Un’armata web per sfidare Grillo
Sì al modello tedesco: «Conciliazione». Parrini: effetto 4 dicembre. Chiti: meglio il maggioritario
Ieri voleva essere «il sindaco d’Italia», ma questa è un’altra stagione: Renzi si converte alla proporzionale, l’unica chance di raccogliere i consensi anche di Forza Italia e M5S. Ma proprio contro i grillini l’ex premier ha scatenato una guerriglia-web.
«Alla fine si deve sapere chi ha vinto le elezioni». Chissà cosa direbbe del ritorno al proporzionale quel giovane sindaco di Firenze, candidato alla segreteria del Pd, che nel 2013 dal palco della Leopolda diceva: «La legge elettorale che funziona è quella dei sindaci: è educativa, responsabilizza». Ecco, se potesse parlare liberamente, senza i calcoli che si fanno in politica, cosa direbbe il Matteo Renzi di quattro anni fa della proposta di legge elettorale proporzionale — molto Prima Repubblica style — avanzata dal Renzi del presente e approvata ieri dalla direzione Pd? Naturalmente non è dato saperlo. Quel che è certo che ieri ha detto che il proporzionale «non è la mia legge, però registro una significativa convergenza tra le forze politiche, quindi la vogliamo perché accettiamo una sorta di pacificazione istituzionale». E che i suoi difendono a spada tratta la scelta. «Considero offensivo dell’intelligenza dei cittadini il ritornello del “si torna al proporzionale” — dice Dario Parrini, segretario del Pd toscano, deputato e soprattutto uno dei padri del modello proporzionale proposto dai Democratici — Nel proporzionale non torniamo ora. Ci siamo tornati dopo il 4 dicembre e dopo la sentenza della Consulta che ha eliminato il ballottaggio nazionale».
Anche un tecnico — molto vicino a Renzi — come Stefano Ceccanti, professore di Diritto pubblico comparato a La Sapienza di Roma, pisano di nascita, difende il segretario Pd: «Ma cosa poteva fare dopo il referendum e la sentenza della Consulta? Ha cercato di ridurre il danno e mi pare ci stia riuscendo. Con il proporzionale saranno determinanti i piccoli partiti? Può darsi, ma non c’erano alternative migliori». Ben più duro Marco Tarchi, docente di Scienza della politica all’Università di Firenze: «Renzi è il pragmatismo fatto persona. A seconda dei momenti, crede di sapere cosa gli conviene ed agisce di conseguenza. Quando si illudeva di potersi assicurare una posizione egemonica, voleva il maggioritario ovunque. Preso atto che l’attuale sistema politico è tripolare, si adegua al proporzionale cercando di trarne il massimo profitto o il minimo danno. Quel che conta, per lui, è solo non essere escluso dalle combinazioni di governo». Combinazioni che, sondaggi alla mano, porteranno molto probabilmente ad un governo di grande coalizione, perché nessun partito ha oggi i numeri per governare da solo. E anche su questo il Renzi della Leopolda 2013 avrebbe forse qualcosa da dire: «Noi crediamo nell’alternanza e nel bipolarismo. Mai più larghe intese».
Il Renzi di oggi finisce sotto attacco del governatore Rossi (Mdp), che rilancia addirittura il Mattarellum e si scaglia contro «lo scambio Renzi-Berlusconi». E un politico di lungo corso come Vannino Chiti (Pd) fa un appello insieme ad altri 31 parlamentari vicini ad Andrea Orlando a favore di un sistema maggioritario. Insomma: la rottamazione è stata rottamata? «La politica è l’arte del possibile e noi dobbiamo dare all’Italia una legge elettorale — dice Matteo Biffoni, sindaco di Prato e presidente dell’Anci toscana, renziano di ferro — Ma il Pd deve mantenere la sua vocazione maggioritaria e puntare al 40%». Ma se non lo raggiungerà, non è detto che sarà facile imporre Renzi come premier. «Matteo è il nostro candidato e noi lo proporremo con forza. Certo, poi ci sono le alchimie parlamentari...», dice con un po’ di timore Biffoni.
Forse, per descrivere il sereno dolore con cui si (ri)apre la stagione del proporzionale, serve la mano di uno scrittore. Come Edoardo Nesi, che è deputato del gruppo misto e ha partecipato all’ultima Leopolda. «La verità? Io non mi sono ancora ripreso dal risultato del referendum. A volte mi sembra di essere finito dentro il titolo del mio ultimo libro: Tutto è in frantumi e danza».
27 ottobre 2013 La legge elettorale che funziona è quella dei sindaci. Alla fine si deve sapere chi ha vinto e chi ha vinto deve avere i numeri per governare. Mai più larghe intese 12 dicembre 2013 È importante fare una proposta semplice: il primo elemento è che si sappia chi ha vinto. Poi chi ha vinto deve governare: non è che ci mettiamo insieme di nuovo 12 gennaio 2015 A me piacerebbe essere il sindaco d’Italia più che il presidente del Consiglio C’è ancora un forte riferimento fra le politiche delle città e quelle nazionali