«Ma c’è una sola arma vincente: la classe dirigente»
Pubblichiamo di seguito alcuni stralci di La rabbia e l’algoritmo, l’ultimo libro di Giuliano da Empoli, ex assessore della giunta Renzi ora alla guida di «Volta», pensatoio internazionale del renzismo. Tema: come sconfiggere il M5S.
Le contraddizioni, gli abusi e le violazioni dei principi democratici da parte dei grillini vanno certamente denunciati. Ma ciò non sarà sufficiente a fermare la loro avanzata elettorale. Fino a questo momento gli avversari politici del M5S hanno oscillato fra tre tipi di risposta.
La tentazione giacobina consiste nell’inseguire i grillini sul loro terreno, diventando più populisti, più antipolitici e più giacobini di loro (…) La tentazione elitaria consiste nell’attribuire il successo del M5S all’ignoranza e alla manipolazione, facendo leva sull’opacità della macchina comunicativa di Casaleggio, sui legami con la Russia, sui bot, sui troll, sulle operazioni di disinformazione e sulle fake news (…) La tentazione dorotea consiste nell’asserragliarsi nel bunker del sistema, in una grande revival nostalgico della Prima Repubblica, scommettendo sulla tenuta di un argine contro la barbarie che metta insieme tutto e il contrario di tutto (...)
Ciascuna di queste strategie contiene in sé un elemento di utilità. Portata alle sue estreme conclusioni, però, ognuna è destinata al fallimento (…) Il problema è che in politica chi adotta la cornice di riferimento degli avversari è già sconfitto in partenza. Il frame giacobino è fatto su misura per un movimento di opposizione, formato da dilettanti allo sbaraglio, con pochissima esperienza del potere e nessuna cultura giuridica. Un po’ meno per partiti di governo che possiedono migliaia di iscritti (…) La seconda tentazione, quella elitaria, ha il pregio di accendere i riflettori su una dimensione finora poco indagata (…) Eppure, sotto sotto, è difficile liberarsi della sensazione che dietro questa faccenda della post-verità ci sia anche l’ennesima versione di un vecchissimo tic delle élite intellettuali. L’idea che chi la pensa diversamente — e soprattutto chi non vota come dovrebbe — lo faccia non per una libera scelta, ma perché è stato manipolato da uno più furbo (…) La tentazione dorotea, infine, ha il merito di rimettere al centro i fondamentali. Di fronte all’avventurismo dei trumpisti d’Italia, è chiaro che i partiti moderati devono rivendicare la capacità di governo e l’esercizio della responsabilità (…) Le forze moderate hanno il dovere di formulare un progetto alternativo, quanto più condiviso possibile.
Detto ciò, la suggestione del Pd trasformato in una nuova Dc, dopata dal ritorno della proporzionale, che tenga insieme un nugolo di satelliti e faccia da argine nei confronti di un nuovo Pci impersonato dal M5S non regge. Perché il fattore K che impediva al Pci di accedere al governo non esiste più. E i casi della Brexit e di Trump dimostrano che per una parte crescente dell’elettorato la prospettiva di un salto nel buio non rappresenta più un deterrente, ma il suo contrario: un incentivo. Alla lunga, la diga dei dorotei verrebbe inevitabilmente spazzata via dalla rabbia dei nuovi barbari. Già, la rabbia; si torna sempre lì. Il punto è capire se vogliamo prenderla di petto o se ci accontentiamo di provare ad arginarla. Nei suoi momenti migliori — le primarie del 2012 e poi soprattutto i primi mesi del governo Renzi e le elezioni europee del 2014 — il Pd ha saputo intercettare la rabbia degli scontenti (…)
C’è chi ha considerato alcune di queste misure come un cedimento alla logica del populismo e non c’è dubbio che Renzi abbia adottato, fin dall’inizio, alcuni atteggiamenti tipici dello stile populista (…) Certo, col passare del tempo la capacità del governo Renzi di dare uno sbocco politico alla rabbia è andata riducendosi, fino alla pesante sconfitta del referendum. Ma la natura del problema non è cambiata.
Le forze moderate e responsabili di questo Paese hanno ancora voglia di andare là fuori, a ristrappare uno per uno i voti ai grillini e ai trumpisti, provando a dare una risposta politica e di governo alla loro rabbia? Oppure si dichiarano sconfitti in partenza e si asserragliano nel fortino del sistema sperando che Dio gliela mandi buona? Nella seconda ipotesi non c’è granché da fare (...) Nel primo caso, al contrario, si apre un cantiere enorme, dall’esito incerto (…) Chiaramente non esiste una soluzione in due parole che si possa applicare a tavolino. In termini generali, però, a me sembra che la questione sia abbastanza semplice. Il M5S è pura quantità. Quando dicono «Uno vale uno» è vero. Per loro le persone, inclusi gli aderenti e gli stessi dirigenti, sono numeri. Uno vale l’altro (…) Di fronte alla sfida della quantità l’unico modo di vincere è puntare sulla Qualità. Il che significa rivalutare la nozione, assai problematica in Italia, di classe dirigente. Se il M5S è una massa indifferenziata, in cui uno vale l’altro perché al centro c’è l’algoritmo sovrano (...), a sfidarlo dev’essere una comunità di donne e di uomini fuori dal comune, portatori di valori e di una visione per il futuro dell’Italia (...) Una classe dirigente è Qualità, non Quantità: il contrario di un algoritmo. In Italia non esiste, se per classe dirigente si intende un insieme di persone che si sentano co-responsabili del funzionamento della società, con alle spalle un percorso di formazione e alcuni criteri di selezione in comune.
Le forze moderate di questo Paese hanno ancora voglia di andare a ristrappare uno per uno i voti ai grillini e ai trumpisti? C’è un’arma sola, una nuova, vera classe dirigente