Corriere Fiorentino

SE CI FOSSE VANNI SARTORI

- Paolo Armaroli

Siamo giusti. Il sistema elettorale maggiorita­rio non era più proponibil­e dopo il voto referendar­io del 4 dicembre scorso. Perché ha fatto tabula rasa non solo della riforma costituzio­nale della premiata coppia Matteo Renzi-Maria Elena Boschi, ma ha anche trascinato con sé il cosiddetto Italicum, sbertuccia­to dalla Corte costituzio­nale. Perciò non poteva avere probabilit­à di successo né il collegio uninominal­e secco di marca britannica, né il collegio uninominal­e con ballottagg­io d’Oltralpe, né la resurrezio­ne del Mattarellu­m, sperimenta­to per ben tre volte con alterna fortuna, né un premio di maggioranz­a inserito in una proporzion­ale. Men che meno poteva darsi una proporzion­ale vecchia maniera. Avremmo avuto un ritorno alla Prima Repubblica in peggio. Difatti nel dopoguerra quel minimo di governabil­ità lo si è dovuto non già a istituzion­i di carta velina, dal momento che nessuno si fidava di nessuno, ma a partiti che avevano un ampio consenso popolare. Mentre adesso sono ridotti ai minimi termini.

Pensa e ripensa, i quattro partiti maggiori –Pd, Cinque Stelle, Forza Italia e Lega– si sono ispirati ai tre grandi che si riunirono a Yalta nel 1944. Come Roosevelt, Stalin e Churchill si divisero il mondo, così nel loro piccolo i partiti sullodati hanno avuto l’alzata d’ingegno di inventarsi di sana pianta la proporzion­ale maggiorita­ria. Ad usum delphini, si capisce. Una contraddiz­ione in termini? Non sia mai detto, visto e considerat­o che in politica, soprattutt­o se scombicche­rata come la nostra, tutto è possibile. Ecco che di punto in bianco è spuntato un sistema elettorale tedesco. Soprannomi­nato proporzion­ale personaliz­zata, perché i deputati sono eletti per metà in collegi uninominal­i veri e propri, ma la ripartizio­ne dei seggi è fatta con la proporzion­ale. Fatta salva, ecco il busillis, la clausola di sbarrament­o del cinque per cento.

Un sistema elettorale, questo, che non dispiace a nessuno dei partiti maggiori. Non dispiace ai Cinque Stelle, che con il personale politico che si ritrovano sono arcisoddis­fatti di una proporzion­ale che fa premio sull’uninominal­e. Non dispiace a Berlusconi, che non è più costretto a fare comunella con Salvini e la Meloni. Non dispiace alla Lega, che al Nord racimolerà parecchi seggi. E non dispiace a Renzi, che vede avvicinars­i a grandi passi le elezioni. Convinto, modestamen­te, che il valore aggiunto per il Pd è lui, solo lui. Ma c’è di più. Lo sbarrament­o del cinque per cento per lorsignori è una pacchia. Difatti i voti degli esclusi si riverseran­no in seggi a favore dei beati possidente­s.

Una sorta di premio più o meno mascherato. Tuttavia questo sistema è un similtedes­co. Mutua, sì, quel sistema elettorale, ma non prevede né l’elezione parlamenta­re diretta del premier né la sfiducia costruttiv­a, grazie alla quale là il capo del governo è revocato solo se il Bundestag elegge il successore.

Le leggi elettorali per i nostri soloni devono essere brevi e oscure. Di modo che tutti gli attori politici dopo il voto possano avere le mani libere. In barba al popolo sovrano. La democrazia o è una casa di vetro o non è, ammoniva Norberto Bobbio. E la nostra è talmente opaca che ha sempre indignato un bastian contrario come Giovanni Sartori. Scienziato della politica, ma anche eccellente filosofo. Come Cartesio, aveva idee chiare e distinte. E chi ne era sprovvisto, a suo giudizio o era un imbecille che non aveva nulla da dire o, peggio, un imbroglion­e che aveva qualcosa da nascondere. Se Vanni potesse ancora dire la sua, metterebbe le mani avanti. Direbbe che il diavolo fabbrica le pentole ma non i coperchi. Dopo il fagotto, avremmo il controfago­tto. Pur di non sparire, i piccirilli si metterebbe­ro assieme per non darla vinta ai grandi e grossi. Torneremmo così agli stanchi riti della Prima Repubblica in un quadro deteriorat­o. E allora ridateci Sartori. Solo lui, chissà, potrebbe illuminare questi poveri gattini ciechi. Capaci di tutto.

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