SE CI FOSSE VANNI SARTORI
Siamo giusti. Il sistema elettorale maggioritario non era più proponibile dopo il voto referendario del 4 dicembre scorso. Perché ha fatto tabula rasa non solo della riforma costituzionale della premiata coppia Matteo Renzi-Maria Elena Boschi, ma ha anche trascinato con sé il cosiddetto Italicum, sbertucciato dalla Corte costituzionale. Perciò non poteva avere probabilità di successo né il collegio uninominale secco di marca britannica, né il collegio uninominale con ballottaggio d’Oltralpe, né la resurrezione del Mattarellum, sperimentato per ben tre volte con alterna fortuna, né un premio di maggioranza inserito in una proporzionale. Men che meno poteva darsi una proporzionale vecchia maniera. Avremmo avuto un ritorno alla Prima Repubblica in peggio. Difatti nel dopoguerra quel minimo di governabilità lo si è dovuto non già a istituzioni di carta velina, dal momento che nessuno si fidava di nessuno, ma a partiti che avevano un ampio consenso popolare. Mentre adesso sono ridotti ai minimi termini.
Pensa e ripensa, i quattro partiti maggiori –Pd, Cinque Stelle, Forza Italia e Lega– si sono ispirati ai tre grandi che si riunirono a Yalta nel 1944. Come Roosevelt, Stalin e Churchill si divisero il mondo, così nel loro piccolo i partiti sullodati hanno avuto l’alzata d’ingegno di inventarsi di sana pianta la proporzionale maggioritaria. Ad usum delphini, si capisce. Una contraddizione in termini? Non sia mai detto, visto e considerato che in politica, soprattutto se scombiccherata come la nostra, tutto è possibile. Ecco che di punto in bianco è spuntato un sistema elettorale tedesco. Soprannominato proporzionale personalizzata, perché i deputati sono eletti per metà in collegi uninominali veri e propri, ma la ripartizione dei seggi è fatta con la proporzionale. Fatta salva, ecco il busillis, la clausola di sbarramento del cinque per cento.
Un sistema elettorale, questo, che non dispiace a nessuno dei partiti maggiori. Non dispiace ai Cinque Stelle, che con il personale politico che si ritrovano sono arcisoddisfatti di una proporzionale che fa premio sull’uninominale. Non dispiace a Berlusconi, che non è più costretto a fare comunella con Salvini e la Meloni. Non dispiace alla Lega, che al Nord racimolerà parecchi seggi. E non dispiace a Renzi, che vede avvicinarsi a grandi passi le elezioni. Convinto, modestamente, che il valore aggiunto per il Pd è lui, solo lui. Ma c’è di più. Lo sbarramento del cinque per cento per lorsignori è una pacchia. Difatti i voti degli esclusi si riverseranno in seggi a favore dei beati possidentes.
Una sorta di premio più o meno mascherato. Tuttavia questo sistema è un similtedesco. Mutua, sì, quel sistema elettorale, ma non prevede né l’elezione parlamentare diretta del premier né la sfiducia costruttiva, grazie alla quale là il capo del governo è revocato solo se il Bundestag elegge il successore.
Le leggi elettorali per i nostri soloni devono essere brevi e oscure. Di modo che tutti gli attori politici dopo il voto possano avere le mani libere. In barba al popolo sovrano. La democrazia o è una casa di vetro o non è, ammoniva Norberto Bobbio. E la nostra è talmente opaca che ha sempre indignato un bastian contrario come Giovanni Sartori. Scienziato della politica, ma anche eccellente filosofo. Come Cartesio, aveva idee chiare e distinte. E chi ne era sprovvisto, a suo giudizio o era un imbecille che non aveva nulla da dire o, peggio, un imbroglione che aveva qualcosa da nascondere. Se Vanni potesse ancora dire la sua, metterebbe le mani avanti. Direbbe che il diavolo fabbrica le pentole ma non i coperchi. Dopo il fagotto, avremmo il controfagotto. Pur di non sparire, i piccirilli si metterebbero assieme per non darla vinta ai grandi e grossi. Torneremmo così agli stanchi riti della Prima Repubblica in un quadro deteriorato. E allora ridateci Sartori. Solo lui, chissà, potrebbe illuminare questi poveri gattini ciechi. Capaci di tutto.