E Berenson ballò con lady Mambo
Viaggiatrici, scrittrici, collaboratrici: tante le signore che si fermarono a Villa I Tatti Tra loro anche Katherine Dunham che seguì i consigli dello storico dell’arte per il film con la Mangano
Nel documentato libro di Rachel Cohen Bernard Berenson. Da Boston a Firenze, appena uscito in libreria per Adelphi, tra i numerosissimi dettagli raccontati dall’autrice, spicca un episodio legato al clamoroso processo Hahn del 1923, quando lo studioso, connoisseur e mercante comparve in tribunale per sostenere l’affermazione del celebre trader con cui lavorava da tempo, Joseph Duveen, in merito a un quadro attribuito secondo quest’ultimo erroneamente a Leonardo. Stremato da un lungo interrogatorio Berenson dichiarò a mezza voce: «Voglio un thè», e tutte le signore, all’unisono, dichiararono: «Non è carino!?».
Lo studio biografico ripercorre una sequenza incredibile di signore: amiche, complici, amori, committenti, che fecero parte per un breve momento, o per lungo tempo della vita del signore dei Tatti. In questa dimora lo studioso e la moglie, Mary Pearsall Smith, storica dell’arte e compagna di una vita giunsero nel 1907, sovrintendendo alla trasformazione della casa di campagna in una dimora rinascimentale, con il lavoro dell’architetto Geoffrey Scott e del maestro dei giardini Cecil Pinsent. Il ménage dei due si svolgeva secondo le regole espresse in una pubblicazione, effimera, ma assai importante per rivelare un progetto di vita a due. Si tratta di The Golden Urn edita da Berenson, insieme al fratello di lei, Logan Pearsall Smith dal 1897. Una rivista fuori commercio: «pubblicata da alcune persone che hanno tempo libero e curiosità, che hanno pensato che valesse la pena di divulgare per il loro piacere alcune impressioni di arte e di vita e alcuni esperimenti letterari», qui si parla spesso di un luogo mitico, Altamura, un buen retiro recintato da solide difese, in cui dedicarsi con calma ad alti studi. Naturalmente nel momento in cui quel pensiero prendeva forma, Berenson era lungi dall’avere la tranquillità economica che avrebbe potuto permettergli di realizzare quel sogno, che restava però sempre nitido sullo sfondo del continuo lavorio per le attribuzioni. I due avevano come passione il litigio, specialmente amato dalla signora Pearsall Smith, che per sposare Berenson aveva con clamore abbandonato il suo primo marito, il politico irlandese Frank Costelloe. La dama, di origini quacchere, aveva opinioni risolute e non mollava mai e spesso nella quiete della collina ril’arte suonavano grida belluine su una attribuzione che non riteneva possibile. Nel 1919 arrivò Nicky Mariano, che con Berenson condivideva origini baltiche; dei Tatti la signorina, cresciuta a Napoli, aveva sentito parlare dal cugino, il filosofo Hermann Keyserling, che non aveva però voluto ammettere la ragazza alla villa. Come racconta nella sua divertente memoria fitta di aneddoti Quarant’anni con Berenson (uscita postuma nel 1969 da Sansoni), il suo compito era molteplice: andava dall’aiuto, pronto ed efficiente nella stesura di quelle che in gergo tattiano si chiamavano le «liste», ossia una vera e propria enciclopedia del- rinascimentale, sorvegliare l’arrivo dei libri richiesti per la biblioteca, controllare l’invio delle immagini che costituiscono l’enorme fototeca del centro di studio che appartiene alla Harvard University.
Un altro dovere principale era la gestione della «corriera» dei Tatti: la clamorosa sequenza di ospiti da tutto il mondo, che doveva accogliere anche in assenza dei padroni di casa; tra cui la famosa Elsie De Wolfe, poi Lady Mendl, maestra dell’arredamento, che passò tutto il tempo a criticare lo stile severo della dimora, lasciando in regalo uno specchio settecentesco decisamente frou frou come stimolo a cambiare genere. Insomma, un lavoro molto impegnativo, tant’è che la signora Mariano ammette di essersi persa, in tutto questo trambusto, niente meno che la notizia della Marcia su Roma, nel 1922. Oltre alle due castellane, non si contano le altre ospiti ricorrenti: tutte hanno lasciato memorie, amabili, o talvolta più ironiche, del loro soggiorno ai Tatti. Clotilde Marghieri ad esempio ha trovato nel colloquio con Berenson il proprio destino di scrittrice (come si ripercorre nel gran volume delle lettere, datate dal 1927, Lo specchio doppio, uscito da Rusconi nel 1981). Sfogliando le pagine di quel notevolissimo libro che è Tramonto e crepuscolo (gli ultimi diari berensoniani dal 1947 al 1958, usciti da Feltrinelli nel 1966 e sarebbe l’ora di ristamparli), sfila un esercito di habitués. In prima fila Hanna Kiel, scrittrice, storica dell’arte e collaboratrice (cui si deve una notevole cronaca sulla guerra a Fiesole, La battaglia sulla collina, uscito da Medicea nel 1986), Freya Stark, viaggiatrice e maestra della prosa di viaggio; Horténse Serristori (con cui Berenson, sempre ricercato per la sua opinione poteva prendersi il lusso di «tacere piacevolmente») ma non mancano le neofite, tra cui, clamorosamente, Katherine Dunham, la regina del mambo che: «è già di per sé un’opera d’arte, un capriccioso arabesco in tutti i suoi movimenti: una gioia per gli occhi».
Katherine Dunham andava da Berenson per consigli estetici sul suo lavoro coreografico, era in Europa perché messa al bando negli Usa per spettacoli politici sulla condizione dei neri, con Berenson scambiava lettere e lo andava a visitare ai Tatti. Sembra anche che Berenson gli abbia dato dei consigli per la strepitosa performance nel film Mambo (1954) di Robert Rossen a fianco di Vittorio Gassman e Silvana Mangano.
Lady Mendl passò tutto il tempo a criticare lo stile severo della dimora e prima di andar via regalò uno specchio del ‘700