Simonetta, 55 anni, tre figlie E la seconda vita con Jabranne
Per l’amore di un uomo più giovane ha stravolto la sua vita. Al punto da finire in carcere con l’accusa di essere diventata il suo braccio destro quando lui non ha potuto più occuparsi dei suoi loschi traffici. Una vita, quella di Simonetta Sodi, né glamour né romantica, ma anzi fatta di sacrifici e di rapporti finiti male (dai quali ha avuto tre figlie). Simonetta «sa il fatto suo, è decisa» ma è anche la compagna indomita di un giovanissimo tunisino, boss della droga e del traffico di esseri umani incarcerato nel febbraio scorso dalla polizia per aver trasformato il parco di San Salvi nella centrale fiorentina dello spaccio.
Lei, passati i 50 anni aveva ritrovato l’amore, sfogava la sua passione per il ventottenne Jabranne Ben Cheikh postando su Facebook ogni giorno, e a ogni ora, messaggi intensi e pieni di passione, foto con i cuoricini e fedi nuziali; lei che, in maniera sgrammaticata, pubblicava sui social velate minacce e pesanti offese verso quelle donne che avevano provato a importunare il compagno, si era svegliata improvvisamente ragazzina, e a volte come tale si comportava e si vestiva.
Simonetta Sodi dissimulava la realtà e agli altri mostrava una vita apparentemente normale ma che nascondeva una verità fatta di anche di maltrattamenti. Per alcuni mesi questa donna dai capelli corti, quasi rasati a zero, con gli occhiali alla moda, i tatuaggi e spesso vestita di nero, ha abitato al civico 21 di via Santorre di Santarosa, nel quartiere residenziale di Campo di Marte: una palazzina fatiscente di quattro piani e quattro appartamenti. Con i condomini parlava poco, ma quando gli si dava il la, sembrava un fiume in piena. «Prima di Simonetta in quell’appartamento abitavano i fratelli di lui — racconta chi la conosce — e la vita era davvero difficile. Non avevano rispetto per nessuno, lasciavano il portone aperto così chi doveva acquistare la droga trovava l’accesso sempre libero: mattina, pomeriggio, sera e notte, qui c’era un viavai continuo di loschi personaggi. A un certo punto siamo stati costretti a togliere tutte le nostre cose dal pianerottolo perché i furti erano all’ordine del giorno».
Poi i fratelli di Jabranne sono stati arrestati ed è stato allora che la cinquantacinquenne si è trasferita in via di Santarosa: «Ci diceva che lo aveva fatto per far ottenere i domiciliari al compagno. Lui lo abbiamo visto un paio di volte ma l’andirivieni di gente è continuato fino a quando non sono arrivati i carabinieri per portare via anche lui». Simonetta andava dicendo di essere incinta e non perdeva occasione per parlare del suo locale, i «Laghi reali» di Quarrata, e del marito: «Un giorno, forse a dicembre, la sentimmo urlare per le scale, ci affacciammo per capire cosa fosse accaduto e lei ci raccontò che Palazzo Vecchio aveva rigettato la sua richiesta di matrimonio. «Vado a parlare con il sindaco Nardella — ci disse con il volto paonazzo per la rabbia — mi deve dire in faccia perché non posso sposare Jab, voglio sentire per quali motivi non mi danno l’ok. Faccio un casino... Poi so che si è risolto tutto e che anzi si sono sposati a gennaio (a Sollicciano, ndr)».
Al terzo piano del civico 21, in un mini appartamento in cui abitano una donna brasiliana, il compagno marocchino e un’amica della coppia, a denti stretti ammettono che «nel periodo in cui Simonetta ha vissuto qui con il marito sentivamo un gran baccano provenire dal piano di sopra, come quando si rompono i piatti. Crediamo venisse maltrattata, ma lei non ha mai voluto dirci nulla, nonostante noi la sollecitassimo a reagire e a denunciare. Era accecata dall’amore per quel ragazzo che l’aveva costretta anche a entrare nei suoi loschi giri d’affari». In via Santorre di Santarosa in pochi conoscono la donna ma di quella palazzina ne hanno tutti paura: «Cerco di starci alla larga — dice una vicina — prima c’erano gli studenti poi la proprietaria ha deciso di darla ai tunisini»; «Per mesi e mesi in questa strada non abbiamo vissuto: i tossicodipendenti si bucavano accanto alle auto e sniffavano ovunque». «Ho visto Simonetta una settimana fa — prova a ricordare una donna che abita nella palazzina di fronte — le ho chiesto come stesse. Lei mi ha risposto: “Alla grande, sto facendo un lavoro che mi dà grandi soddisfazioni soprattutto economiche”. Martedì ho saputo che l’hanno arrestata».
Il matrimonio Vado a parlare con il sindaco, mi deve dire in faccia perché non posso sposare il mio Jab Se non mi danno l’ok faccio un casino La vicina Ci disse che aveva preso la residenza qui per far ottenere i domiciliari al compagno. Era un continuo andirivieni di gente, avevamo paura