Filippino, angeli e demoni
I suoi genitori erano la coppia più scandalosa del secolo, e il giovane Lippi ereditò l’arte di farsi amare Era bello, e ispirò molte creature di Botticelli. Dipinse Madonne, ma la sua arte aveva bisogno di mostri
Le persone che nascono con qualche macchia, reale o immaginaria, possono reagire in due modi: male o bene. Filippino Lippi, figlio di Filippo Lippi, sentì il bisogno di essere accolto. Aveva ereditato dal padre l’arte di farsi amare, ma a differenza di Filippo non aveva niente da farsi perdonare. Quando incontrava qualcuno, con pochi tocchi riusciva a spezzare la scorza di invidia e maldicenza che soffoca l’anima.
I suoi genitori formavano la coppia più scandalosa del secolo: il padre, frate e famoso pittore, era scappato con Lucrezia, monaca, e l’aveva dipinta sotto forma di Madonna. «Madre, modella e monaca» diceva Filippino parlando della mamma. Cominciò, minuscolo, a stare col padre quando lavorava e così imparò da lui molte cose. Sovrapponeva l’immagine della Madonna a quella di sua madre, dato che nei quadri del padre avevano le stesse fattezze. Giovanissimo, dipinse un’Annunciazione, e immaginò che l’angelo annunciasse la sua nascita a Lucrezia, felice e inquieta. Tornò sullo stesso tema anni dopo e dietro Maria c’è, presenza rara in questa raffigurazione, un orologio, a significare forse il lato terreno della sua nascita.
Fra’ Filippo quando smetteva di lavorare inseguiva le donne e il piccolo Filippino rimaneva spesso a parlare con il suo allievo prediletto, Botticelli. Gli poneva delle domande infantili e adulte: «Non capisco dove abbiamo il rigo nero» chiedeva il bambino coi suoi grandi occhi. «Noi non abbiamo il rigo nero, solo le figure dei quadri lo hanno» rispose Botticelli affascinato. «Tutti hanno il rigo nero» assicurò Filippino e questo dette da pensare a Botticelli. Un’altra volta il bambino dopo aver visto sua madre nuda e distesa disse: «Perché nessuno dipinge mai donne nude distese?». Botticelli ci pensò su una trentina d’anni e dipinse una Venere distesa con dei veli leggeri che la rendevano quasi nuda. Qualche tempo dopo l’idea della donna nuda e distesa divenne di moda. Filippino era bello, e fu il prototipo di molti angeli di Botticelli.
Quando Fra’ Filippo morì Filippino entrò nella bottega di un altro allievo del padre, Fra’ Diamante, uomo noiosissimo, ma ne uscì subito per lavorare con Botticelli. Fin da piccolo aveva sentito la storia del padre rapito dai pirati. Pensava fosse un’invenzione. Ma voleva credere a tutto. Botticelli lo capì e gli disse: «Ma quale invenzione, è tutto vero». Allora prese una barchetta e navigò verso Ancona, dove era stato rapito il padre. Nessuno lo rapì, ma dentro di lui rimase quell’emozione grande fino all’orizzonte. Dipinse Madonne che erano sua madre e dietro di loro in lontananza si vede il mare, un omaggio alla giovinezza del padre.
Terminò gli affreschi della cappella Brancacci. Molti anni prima, Fra’ Filippo ci era entrato bambino, e guardando lavorare Masaccio aveva deciso di diventare pittore. Filippino entrò dove tutto era cominciato come dentro una caverna incantata. Sì sentì suo padre bambino. E siccome il padre era stato come posseduto dallo spirito di Masaccio anche il figlio lo fu. Quelle immagini lo attendevano da molti anni: fuse le sue figure con quelle di Masaccio, cercando di non disturbare. Ma finito il lavoro, guardando gli affreschi del paradiso terrestre si disse: «Il paradiso è fatto per uscirne». E uscì senza voltarsi indietro.
Nella cappella Brancacci ritrasse tra gli altri Antonio Pollaiolo, che per una porta del Ghiberti aveva realizzato una quaglia inimitabile. «Per forza, sei un pollaiolo» gli diceva Filippino. Tale era infatti la professione del padre del suo amico. A volte Antonio apriva i polli per studiare l’anatomia e Filippino assisteva, e da questo derivano alcune sue creature fantastiche. A Roma, si calò in grotte oscure che erano poi i resti della domus aurea di Nerone. Vi incise il suo nome e vide figure mostruose che lo segnarono per sempre. Gli piaceva la soavità di Botticelli ma aveva bisogno di mostri.
Chiese a sua madre: «Perché papà che ha avuto una vita così agitata è riuscito a dipingere immagini così tranquille e io che sono così tranquillo mi sento ribollire di immagini agitate?». Lucrezia rispose: «Secondo me perché...». Ma era già ripartito per Milano dove incontrò Leonardo da Vinci che gli disse: «Non importa vedere il rigo nero». «Nelle persone?». «Neanche nei quadri». Imparò che a volte è meglio non vedere tutto, sarebbe una noia. Leonardo gli raccontò la storia dell’unicorno. «Se incontra una donzella dimentica la sua ferocia e le si addormenta in grembo» «Davvero?» «Sicuro» sorrise Leonardo. Filippino voleva credere a tutto: tutti i pretesti, tutte le ragioni. Anni dopo dipinse un unicorno che immergendo il corno in un ruscello purifica l’acqua, così che la coppia di fronte a lui, un cervo e una cerva, possa bere: questa immagine è il simbolo dell’amore reso puro. Lui era l’unicorno, i cervi i suoi genitori.
A Firenze, a Santa Maria Novella, dipinse molte cose nuove che fecero impallidire Ghirlandaio, che lavorava a una cappella lì accanto. Le figure umane sono cariche di un’espressività deformata. San Giovanni Evangelista viene bollito, ma non muore. San Filippo fa uscire da sotto l’altare un mostro che ammazza col puzzo il figlio del re. E Filippino dipinse una buca talmente ben fatta che un suo garzone cercò di nasconderci qualcosa. Questo perché Filippino dipingeva bene, ma anche perché era riuscito a trasmettere al garzone la capacità di credere, l’arte di illudersi. «Credi a tutti i pretesti, a tutte le ragioni» gli ripeteva.
Quando Botticelli entrò in crisi perché troppa soavità gli aveva dato alla testa Filippino continuò per la sua strada, con l’aiuto dei suoi mostri e dei suoi dettagli, che aveva imparato da uomini venuti dal Nord. Dipinse una Visione di San Bernardo che è ancora alla Badia fiorentina. Il santo sta scrivendo la sua omelia alla Vergine, e scrive talmente bene che Maria, evocata dalla forza delle sue parole, gli appare per fargli i complimenti. Il diavolo sta rintanato in un anfratto ed è un diavolo minorenne e imbarazzato. Dipinse un San Girolamo che forse sostituì un’opera di Leonardo, individuo spesso inadempiente. Nel San Girolamo di Filippino si vedono conchiglie e funghetti allucinogeni. Dipinse un San Tommaso a cui il crocifisso dice «Hai scritto bene di me, Tommaso».
Quando il vento di Savonarola soffiò più forte, portando la penitenza a Firenze, Filippino si pentì e soffrì senza esagerare. La moderazione è tutto. Aveva già espiato da bambino, credendosi in colpa per il grande amore da cui era nato.
12. Continua. Le precedenti puntate: 13-27/11; e 11-31 12 2016: e 22/1, 5-26/2; 12-26/3; 30/4, 28/5
In Santa Maria Novella dipinse molte cose nuove che fecero impallidire Ghirlandaio