Corriere Fiorentino

Crolla il patto dei quattro, si riaffaccia la Vecchia politica Ma bisogna saperla fare

- di David Allegranti

Il «patto a quattro» fra Pd, M5s, Forza Italia e Lega sulla legge elettorale non c’è più, affondato giovedì scorso alla Camera. I Cinque Stelle hanno tradito l’accordo facendo passare un emendament­o sul Trentino Alto-Adige che il Pd aveva chiesto di non votare (presentato da Michaela Biancofior­e di Forza Italia e accorpato a uno del M5S sullo stesso argomento: un po’ come dire che Heidi ha asfaltato Godzilla). Anche il Pd però ha dimostrato di avere qualche problema con i franchi tiratori, come si è capito dal grave pasticcio del tabellone che ha reso palese il voto segreto. «Errore materiale», l’ha chiamato Laura Boldrini, presidente­ssa della Camera. Settimane di trattative e di dibattito pubblico sulla legge elettorale sono svaniti e oggi non c’è più alcuna possibilit­à di un nuovo accordo fra il partito di Grillo e quello di Renzi. Nei primi ha prevalso l’anima movimentis­ta, quella di Roberto Fico e Paola Taverna, ostile a qualsiasi trattativa con il «nemico», finanche sulle regole del gioco. «La nuova legge elettorale? È un megaporcel­lum. Noi del M5S faremo degli emendament­i, ma sinceramen­te io non mi sarei messa nemmeno lì seduta», aveva detto la verace senatrice prima dell’inizio del voto in aula, lasciando intuire qualcosa sull’esito del film. Tanti saluti insomma alla linea dialogante di Luigi Di Maio, che vorrebbe presentars­i come interlocut­ore credibile per Quirinale ed establishm­ent vario e diffuso. Laddove si dimostra che nessuno, neppure Grillo, può garantire la solidità di un accordo siglato via Sacro Blog e qualche decina di migliaia di voti online.

Il Pd invece dà l’impression­e di covare risentimen­ti finora soltanto sopiti, tra le difficoltà di un leader che dalla sconfitta del 4 dicembre sembra poco lucido e i malumori pubblici della componente che fa capo ad Andrea Orlando. I Democratic­i hanno drammatizz­ato la spaccatura del M5S, ma non è che così spariscono i loro problemi, nascosti dalla cipria di Bob, dalle fiaccolate e dalle rassegne stampa alle nove del mattino, la cui utilità — anche sul piano meramente mediatico — è ancora da comprender­e.

Il voto anticipato nel 2017 è dunque archiviato? Renzi ieri al Corriere della Sera ha detto che si voterà nel 2018, ma parlando con i renziani si capisce che il Pd è alla ricerca di un «incidente» in Parlamento. Sono rivelatric­i le parole del capogruppo Pd alla Camera Ettore Rosato: «Mi chiedo come possa stare insieme una maggioranz­a di governo dove Mdp il 40 per cento delle volte vota contro e dove i rapporti con Ap non sono più idilliaci. Penso al percorso che abbiamo davanti: lo ius soli, il testamento biologico, la legge di bilancio». La tesi di Rosato va naturalmen­te dimostrata, per questo è lecito attendersi settimane movimentat­e. Naufragato l’accordo sulla legge elettorale, il Pd è passato da un’ipotesi di governo con Forza Italia al dialogo con Giuliano Pisapia. «Alla Camera il premio al 40% consente di tentare l’operazione maggiorita­ria», dice Renzi. Il Consultell­um alla Camera è un proporzion­ale con premio al 40 per cento, lo sbarrament­o è al tre per cento e non prevede la possibilit­à per le liste di coalizzars­i, quindi il premio può andare solo alla lista. Al Senato invece vige un proporzion­ale puro, senza premio di maggioranz­a e senza capilista bloccati. La soglia, su base regionale, per accedere alla ripartizio­ne dei seggi, è dell’8 per cento per le liste non coalizzate e del 3 per cento per le liste coalizzate (sempre che la coalizione superi il 20 per cento).

Pisapia, rispondend­o all’offerta di Renzi, ha rilanciato con le primarie di coalizione. Un modo per prendere tempo, forse. Anche perché Renzi ha sempre posto condizioni inaccettab­ili per il leader di Campo Progressis­ta: l’esclusione di Bersani e D’Alema da qualsiasi tipo di alleanza. Eppure, se vuole aprire un dialogo con Pisapia (ma non solo con lui, con chiunque), il segretario del Pd non può che adattarsi allo schema di gioco proporzion­ale. E «la proporzion­ale corretta — ha spiegato Giuliano Ferrara sul Foglio — implica e impone il ritorno alla Vecchia politica esorcizzat­a in questi anni, il seminuovo è una pia illusione. E la Vecchia politica bisogna saperla fare». La cosiddetta «Vecchia politica» prevede compromess­i, toni meno arroganti, capacità di dialogo. Tutte cose che Renzi, che è un leader maggiorita­rio, finora ha ignorato.

 Se vuole aprire un dialogo con Pisapia o chiunque altro, Renzi non può che adattarsi allo schema proporzion­ale. Che impone dialogo, toni meno arroganti, compromess­i. Tutte cose finora ignorate

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Giuliano Pisapia, leader di Campo Progressis­ta
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Matteo Renzi, segretario del Pd
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