SE ALLA FINE CONTA IL «TURBAMENTO PSICHICO»
All’apparenza, sembra un concetto semplice, la presa d’atto di un necessario istinto di conservazione: una legittima difesa. Ma in questa società postmoderna, che vive di post-realismo post-liberismo e post-verità, soltanto le cose del passato sembrano essere semplici. Il mondo contemporaneo introduce sfumature di grigio che non ci aspettavamo esistessero. Ed ecco quindi che si è proposta (la Lega Nord, innanzi tutto, con emendamenti avanzati dal Pd) una modifica degli articoli 55, 59 e 614 del codice penale, che disciplinano: l’eccesso colposo di legittima difesa e la violazione di domicilio.
Si è trattato di un caso spinoso, tutti lo ricorderanno bene. Si fa presto a dire legittimità, quando ben più arduo è il compito di definirla. I cittadini sembrano quasi trovarsi presi fra due fuochi: da una parte, la sgradevole sensazione di un sistema penale che incoraggia la passività dinanzi al crimine, dall’altra, l’altrettanto sgradevole prospettiva di una «giustizia fai da te», più adatta agli spaghetti western che non al quieto vivere di una democrazia occidentale. Il testo della legge, su cui si è dibattuto molto e vivacemente, ruota attorno ad un concetto sfuggente: quello di «grave turbamento psichico», in presenza del quale, la difesa si fa legittima.
Ma nel frattempo, la vita quotidiana non si arresta. Martedì sera, a Pisa, un gioielliere ha subito una rapina. Non era la prima: era già stato bersaglio di rapine in passato e in una di queste aveva subito un accoltellamento piuttosto grave. Con questi precedenti, il gioielliere — in risposta, a quanto pare, ad un primo colpo sparato dal rapinatore — avrebbe fatto fuoco con una pistola legittimamente detenuta a più riprese, esaurendo l’intero caricatore, e avrebbe ucciso uno dei malviventi, colpendolo al fianco (non aveva ancora girato le spalle), mettendo in fuga l’altro.
In casi come questo, per evitare di introdurre una presunzione di «eccesso» sulla condotta di chi reagisce ad un atto criminoso, l’autorità giudiziaria è chiamata a richiedere un esame clinico per valutare l’eventuale presenza di un turbamento psichico che possa aver giustificato l’eccesso di legittima difesa. Ma cosa si intende precisamente, in questo contesto, con «turbamento psichico»? Ci si riferisce a quella grave reazione acuta allo stress che può scattare in determinate circostanze di esposizione ad eventi estremi, quale una rapina, reazione caratterizzata da terrore, confusione mentale, sintomi dissociativi (estraniazione dalla realtà circostante, perdita della percezione di se stessi e del proprio corpo). In questi casi, spesso, si agisce d’impulso, con scarsa cognizione dei propri atti. E successivamente, infatti, è frequente che anche il ricordo dell’evento e delle proprie reazioni sia compromesso: fenomeno che prende il nome di «amnesia dissociativa». In questi casi l’atto volto alla difesa personale, seppur sproporzionato rispetto alla minaccia, è giustificato dallo stato psichico del paziente. Resta da comprendere in quali casi e in quali soggetti siano verosimili tali reazioni in caso di un’aggressione, che sono da valutare sulla base dei fattori ambientali e della storia psicopatologica. Va tenuto conto di un’eventuale anamnesi positiva per disturbi psichici, e in particolare non deve essere trascurata la presenza — come nel caso del gioielliere — di aggressioni pregresse, che possono aver generato uno stato latente di ipervigilanza, connessa con il ricordo intrusivo dell’avvenimento stesso. Trovarsi nuovamente in una condizione critica può infatti far scattare elevate risposte d’allarme, nonché una riesperienza dell’evento passato in grado di far perdere il contatto con la realtà. Un altro importante fattore predisponente ad una reazione di tipo dissociativo è la presenza di altre persone che la vittima sia chiamata a difendere perché non in grado di farlo autonomamente: pensiamo ad un ladro che entri in un’abitazione in cui siano presenti giovani donne, oppure dei bambini. Naturalmente, è necessaria da parte dello psichiatra la massima cautela metodologica nel valutare tanto le condizioni dell’aggressore che quelle dell’aggredito, ma sono quesiti a cui la scienza è in grado di rispondere efficacemente, a dimostrazione del fatto che il sapere psichiatrico non gioca un ruolo soltanto nell’ambito della clinica e della terapia.