UNA SETTIMANA IMBARAZZANTE
C’è un filo rosso che lega alcuni eventi di cronaca di queste ore. Giovedì il Consiglio di Stato ha annullato la sospensione di cinque direttori stranieri dei musei italiani decisa dal Tar del Lazio. Il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, che aveva schivato per un soffio la messa al bando, ha commentato: «Sono felice che questi bravissimi colleghi possano tornare a fare il lavoro al quale erano stati chiamati». Già, ma qual è il prezzo che è stato pagato nel frattempo? Di certo va considerato l’avvilimento di questi dirigenti che da un momento all’altro, senza nessuna loro personale responsabilità, si sono ritrovati sbattuti fuori dai loro uffici. Ma c’è dell’altro. C’è la figuraccia internazionale di un Paese che non sembra in grado di prendere decisioni o di difendere quelle (non molte) che prende. È stato il ministero che ha superficialmente bypassato alcune disposizioni di legge? Oppure è stato il Tar del Lazio che ha ecceduto in formalismi a scapito del buon senso e dell’interesse delle nostre istituzioni culturali? Il risultato non cambia: l’immagine che è passata è quella di un Paese poco affidabile. E che cosa avranno pensato gli operatori del mondo della moda che sono arrivati a Firenze questa settimana per partecipare a Pitti, e che si sono trovati in mezzo al caos del traffico, o in coda sotto il sole per prendere un taxi che non sarebbe arrivato? Avranno pensato che siamo un Paese previdente? Che sappiamo valorizzare le nostre eccellenze? Che abbiamo la capacità di organizzare la vita di una città che non è ancora diventata un museo? Che ci siamo persi la genialità del passato, ma che almeno cerchiamo di supplire con l’efficienza? Loro hanno certamente pensato altro. Il guaio maggiore però è che sappiamo già quello che succederà adesso: nulla. Tutto rientrerà in una routine di pressappochismo, fatalismo, provincialismo. Fino al prossimo ingorgo, fino al prossimo concertone, fino al prossimo Pitti. Due giorni fa, all’evento organizzato a Firenze da Corriere Innovazione si è parlato di industria 4.0, di sharing economy, di smart city. Tutto è possibile, ma niente lo sarà se ci dimentichiamo che la capacità di rinnovarsi dipende da noi prima che dalla tecnologia. E che non ci può essere un Paese sviluppato se non dà certezze giuridiche, né una città intelligente che non sa farti muovere se non con i tuoi piedi. Ma tra Firenze, Roma e Pontassieve a qualcuno fischieranno le orecchie?