TRE OBIEZIONI A TRE OBIEZIONI
Periodicamente la vita delle città italiane e dei cittadini viene colpita da scioperi la cui motivazione è quella di contrastare processi di privatizzazione dei servizi pubblici. Il bersaglio è genericamente individuato, anche se può assumere diverse modalità: si va da una vera e propria cessione di aziende pubbliche a privati all’esternalizzazione di rami di attività di enti pubblici (riscossione tributi, mense, assistenza, manutenzione, eccetera), oppure al passaggio di aziende pubbliche a enti controllati dallo Stato o da enti locali, ma al di fuori del perimetro della pubblica amministrazione, come è il caso di acquisizioni da parte di Ferrovie dello Stato e Cassa depositi e prestiti: una sorta di privatizzazioni di facciata, fino a che non siano seguite da dismissioni di quote di partecipazione sul mercato. Le ragioni di questa generica opposizione sono fondamentalmente tre: il carattere sociale del servizio, per il quale la logica del profitto sarebbe in contraddizione; la difesa dell’identità locale o nazionale dell’attività ceduta; la difesa dei livelli occupazionali e salariali, a prescindere da logiche di efficienza aziendale.
A contrastare la prima motivazione valgono le pagine di Luigi Einaudi nel famoso saggio In lode al profitto: gli imprenditori possono prendere decisioni minimizzando i costi per massimizzare il profitto, ma poi quanta parte di questo effettivamente sarà conseguito dipende dalla politica economica che limita il potere di mercato, regolamenta le tariffe e la qualità dei servizi. Un’impresa privata regolamentata, specie quando assume una dimensione adeguata, tende a conseguire il valore sociale del servizio come e forse meglio di un’impresa pubblica.
A contrastare la seconda argomentazione valgono invece le considerazioni che chiunque può fare riflettendo sulla ormai quasi assoluta mobilità dei capitali e anche del lavoro, non solo all’interno di un Paese ma anche tra i continenti. La difesa dell’identità aziendale quando ormai si parla di «catene globali del valore» (Cgv) sembra un’illusione donchisciottesca.
Rimane la terza motivazione, che peraltro è quella più coerente col ruolo dei sindacati. Nessuno può sottovalutare le implicazioni per i lavoratori che vedono passare la proprietà delle loro aziende da un rassicurante ente pubblico a un privato che per definizione si muove in un alveo di efficienza e che considererà anche l’impiego più razionale della risorsa lavoro.
Qui però conta la qualità dell’imprenditore privato che subentra. Se ha un piano industriale e porta con sé un management adeguato può addirittura far intravedere possibilità di crescita aziendale e occupazionale. E’ lo Stato che deve imparare il non facile mestiere del venditore di aziende e attività. In Italia, il pubblico è da sempre un affermato compratore; invece non sempre appare attrezzato per garantire la selezione di compratori veri, accreditati e convincenti, anche a costo di rinunciare alle entrate da cessioni solo finalizzate a far cassa.