Verdini e il crac Ccf «Gestione ambiziosa quanto irregolare»
«La gestione del Credito Cooperativo Fiorentino è risultata imprudente quanto ambiziosa. È chiaro che lo stato di insolvenza della banca, presieduta per venti anni da Denis Verdini, è ascrivibile a condotte abnormi e irregolari riconducibili al management dell’istituto di credito e non a chi è intervenuto per porvi rimedio». È un passo della motivazione della sentenza che il 2 marzo scorso ha condannato a 9 anni di reclusione il senatore di Ala, Denis Verdini, per il crac del Ccf e truffa allo Stato per i finanziamenti pubblici all’editoria; assolvendolo però dall’accusa di associazione per delinquere insieme agli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei, ex proprietari del Gruppo Btp. Il maxi processo, così battezzato per la sequela di imputati (43 )e contestazioni (135) si è concluso con venti condanne, tre assoluzioni e tredici prescrizioni. «Una vicenda complessa — si legge nella motivazione lunga 704 pagine firmata dal presidente Mario Profeta e dal giudice Laura Bonelli — non solo per il rilievo istituzionale di alcune persone coinvolte quanto per la straordinaria anomalia dell’idea che un istituto bancario possa essere dichiarato insolvente». È un tema «inedito e insolito con pochi precedenti», spiegano i giudici, ma probabilmente destinato a essere affrontato in altre aule di giustizia a causa della «grave crisi che ha coinvolto tra il sistema bancario». Il tribunale ricostruisce il sistema di funzionamento della banca e i prestiti che il Ccf avrebbe concesso senza garanzie soprattutto alle società che facevano capo a Fusi e Bartolomei. La banca fu dichiarata insolvente nel novembre 2012. Già nel 2006, Verdini e il management dell’istituto ignorarono «il monito della Banca d’Italia ad abbandonare una politica creditizia troppo sbilanciata verso il settore immobiliare e pericolosamente indirizzata al sostegno di alcuni specifici imprenditori». Si trattò di «un primo campanello d’allarme». Nel 2008 una forte crisi investì Btp e «ciò nonostante il Ccf — si legge nella motivazione — continuò imperterrito a sostenere Fusi e Bartolomei nella piena precarietà della loro situazione». Così quando nel 2009, le banche più importanti «abbandonarono le società del Gruppo Btp, per Ccf si aprirono le porte dell’inferno». Verdini si era accorto dei rischi dell’ eccessiva esposizione ed aveva cercato di porvi rimedio, ma era troppo tardi. A Fusi e Bartolomei (condannati a 5 anni e 6 mesi) titolari di «imprese attive che vivevano sul filo del rasoio, non per incapacità ma per la scaltrezza nell’attingere a finanziamenti», la situazione è «sfuggita di mano». Verdini Fusi e Bartolomei: «Tre persone con caratteri marcati, capacità indiscusse manifestate negli anni. I destini , secondo il tribunale, si sono incrociati e gli interessi sono stati comuni, ma non di associazione per delinquere si può parlare».