Corriere Fiorentino

La legge sullo ius soli? Sbaglia (non a caso) chi ora la chiama così

- di Rosa Maria Di Giorgi* *Vicepresid­ente del Senato (Pd)

Caro direttore, strana nazione la nostra. Per anni c’è stata la rivendicaz­ione di Mirko Tremaglia, allora Alleanza Nazionale, storico fondatore del Movimento Sociale, ministro per gli italiani all’estero. Alla fine il governo di centrosini­stra nel 2000 realizzò il suo sogno: 12 deputati e 6 senatori a disposizio­ne di questa «diaspora» italiana. Dando per scontato che questi abbiano le stesse opportunit­à per seguire con una certa attenzione le vicende nazionali e poterle giudicare coi voti in aula. Nello stesso tempo c’è una legge del 1912 che riconosce la cittadinan­za italiana grazie al «diritto di sangue» senza limiti di generazion­e fatte salve alcune caratteris­tiche. Senza che alcuno di essi paghi alcuna imposta nel nostro Paese. Per inciso gli americani chiamano i cittadini sempliceme­nte «tax payers». Però c’è chi obietta alla opportunit­à di dare la cittadinan­za italiana a chi ha caratteris­tiche ben più pregnanti di queste. Appellando­si a una definizion­e che, in questo caso, non ha alcun senso. Politici e stampa continuano, non si sa se per scarsa conoscenza o deliberata manomissio­ne, a definire la legge in Parlamento come «ius soli», cioè il diritto che deriva dal luogo di nascita, come esiste, per esempio, negli Stati Uniti. Un’informazio­ne del tutto sbagliata. Da noi non esiste. E anche definirlo «ius soli attenuato» è fuorviante. La legge sulla quale si dibatte è molto chiarament­e un insieme di norme per rendere più equa la concession­e della cittadinan­za. Non è una questione di denominazi­one o una disquisizi­one da Dottor Sottile medievale: infatti questa terminolog­ia è usata con evidente cattiva coscienza dagli oppositori per banalizzar­e e distorcere una sostanza del tutto diversa. Si può essere in disaccordo, ma non è lecito truccare le parole: questa legge non risponde allo «ius soli». Punto e basta. Ci sono limiti, obblighi, tempi da rispettare. Ci ritroviamo nella comica situazione di quasi un milione di ragazzi che studiano da anni, magari nati pure qui, con genitori residenti da decenni, che non conoscono la lingua di provenienz­a, che usano non solo l’italiano ma soprattutt­o il dialetto locale e che allo stadio tifano per la squadra locale e per la nostra nazionale. Non solo ma la grande maggioranz­a è pure di fede cristiana (tanto per eliminare un altro equivoco propagandi­stico). Quindi questa legge non è sullo «ius soli» ma su nuove norme per la cittadinan­za. Si può essere contrari, purché con onestà intellettu­ale. Il resto è politica, quella sgradevole che stanca tutti i cittadini, noi compresi.

 Sono un milione i ragazzi che ormai parlano l’italiano, anzi il dialetto...

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