Un capolavoro d’assedio
La mostra A Casa Buonarroti la resistenza della Repubblica fiorentina raccontata dall’arte Dai disegni di Michelangelo ai dipinti del Pontormo, tutti scelti da Alessandro Cecchi
Nei mesi in cui, dal 14 ottobre 1529 al 12 agosto del 1530, Firenze fu assediata dalle truppe di Carlo V, si concentrarono le speranze di una generazione di fiorentini che fece del sentimento patriottico, dell’impegno civile, della libertà repubblicana e di un’incrollabile fede religiosa il proprio credo: una Repubblica, attenzione, che godeva della protezione di un sovrano — e qui è l’ossimoro — speciale: quel Cristo Re che avrebbe dovuto garantire, secondo le profezie di Savonarola, lunga vita alla «fiorentina libertas». I termini ante e post quem sono noti: i semi che favorirono l’ascesa al potere dei repubblicani furono il sacco di Roma e la fuga dei Medici, mentre la battaglia di Gavinana e la morte di Francesco Ferrucci decretarono la fine di un sogno, con il conseguente ritorno dei Medici e la proclamazione, due anni dopo, di Alessandro a Duca di Firenze.
Anche se sono numerosi gli studi che sono stati condotti sull’argomento, e alcune esposizioni, come L’officina della maniera del 1996 agli Uffizi, hanno contribuito a definirne i contorni, la mostra che Casa Buonarroti dedica a Michelangelo e l’assedio di Firenze, 1529 – 1530, a cura di Alessandro Cecchi (21 giugno - 2 ottobre 2017) è il primo affondo monografico dedicato a questo significativo capitolo della storia fiorentina.
«La mostra — ci racconta lo stesso Cecchi — ha un doppio carattere storico e artistico, vuole rendere conto del clima politico e culturale nella città assediata e dei suoi molteplici aspetti ed è il frutto di anni di ricerche che hanno portato al ritrovamento di vari documenti inediti», alcuni dei quali confluiranno in un libro a cui Cecchi, direttore di Casa Buonarroti, sta lavorando e che sarà pubblicato dalla casa editrice Leo S. Olschki.
Ad aprire la rassegna una selezione dei più importanti disegni di fortificazioni di Michelangelo, restaurati per l’occasione grazie al sostegno dei «Friends of Florence», e allestiti con un display che ne consente la lettura recto/verso. «Ho voluto ricollocare questi disegni nel loro contesto, mettendo in risalto il ruolo dell’artista al servizio della Repubblica. Michelangelo cominciò a lavorarci ben prima dell’incarico ufficiale di generale governatore delle opere di fortificazione, stipulato il 6 aprile del 1529. Esiste un documento da cui si evince come già un anno prima egli fosse stato convocato a san Miniato dal capitano dei fanti insieme ad altri architetti militari per dare il suo parere sulle fortificazioni». Firenze possedeva una cinta muraria poderosa, ma l’utilizzo delle artiglierie l’aveva resa espugnabile: le alte torri potevano essere distrutte e le mura sbrecciate, per cui era necessario innalzare dei bastioni provvisori. «È ciò che farà Michelangelo, anche se mi preme ribadire che delle fortificazioni sopravvissute non c’è nulla di autografo: furono costruite in terra, in capecchio e in altri materiali deperibili ed erano riparate e rafforzate all’occorrenza, via via che venivano danneggiate».
Firenze era una vera e propria fucina: esistevano grotte in cui si testavano le artiglierie e in città viveva il più importante maestro di getti della penisola, Vannoccio Biringuccio, fuoriuscito senese che serviva la Repubblica fiorentina. «Anche se la guerra è un mestiere per professionisti, come insegna il film di Ermanno Olmi Torneranno i prati, Firenze si autotassò per ingaggiare diecimila mercenari e ci furono molti cittadini che vi si cimentarono, come quel Francesco Guardi oggi famoso per essere stato ritratto da Pontormo in un’opera conservata al Getty di Los Angeles». Alle armi e agli armati è dedicata la seconda sezione del percorso espositivo, in cui sono esposti i disegni dei capitani traditori impiccati, e dove sono allestite le armi, tra cui un corsaletto italiano alla tedesca e uno spadone da tenere con due mani posto accanto al ritratto che Andrea fa di un giovane della milizia che ne impugna uno simile: «Il sentimento dei fiorentini è quello del riscatto dalla fama mercantile di bottegai e questo si evince dalle opere e dalle Orazioni alle milizie cittadine». Molti sono i personaggi, noti e non, che animano la vita politica e culturale durante l’assedio. Come Agnolo Doni, committente del Tondo di Michelangelo, ma che fu anche un convinto repubblicano in prima linea e con un ruolo cruciale nei consigli. O il gonfaloniere Raffaello Girolami «che, anziano, chiese il permesso di indossare la corazza e uscire alla testa della milizia. I documenti raccontano che se fossero stati sconfitti, — anche se i repubblicani erano convinti della vittoria perché Cristo li avrebbe protetti — essi sarebbero stati pronti a distruggere la città, a uccidere tutti e a suicidarsi per non cadere nelle mani dei nemici, come i Daci che sono scolpiti sulla Colonna traiana».
Nei capolavori dipinti durante l’assedio — dalla Sacra famiglia Medici del Sarto al Martirio dei Diecimila martiri di Pontormo — si percepisce un’atmosfera particolare. «Il Martirio è l’opera che meglio rappresenta l’impegno repubblicano: è come se sullo sfondo la milizia cittadina uscisse dalle mura per combattere accanto ai mercenari». Nella Madonna con Bambino e San Giovannino di Pontormo, «i profili taglienti e quell’aria più stralunata del solito, mostrano il dramma di un artista che risente delle privazioni di tutta la città». In mostra si può ammirare anche un ritratto inedito di Savonarola attribuito a Sogliani e alcune monete, con impressa la croce e la corona di spine, coniate, per pagare i mercenari, con l’oro e all’argento consegnato dai fiorentini, sul lastrico per servire la causa di una patria ormai agonizzante.
Firenze si autotassò per ingaggiare diecimila mercenari e molti cittadini presero parte alla guerra