Iudice e le tele sul mare che sembrano foto
Da oggi a Palazzo Medici Riccardi l’omaggio ai migranti nelle opere dell’artista siciliano
Quella di Giovanni Iudice è «una pittura di visione», in parte materica, in parte iper realista, e «narrativa» perché «vuole interpretare il dolore» per autodefinizione dell’artista siciliano. Il dolore è quello dei migranti. E lo trasporta nella mostra Il rumore del mare che oggi alle 18 si apre a Palazzo Medici Riccardi in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato dove rimarrà esposta fino al 12 luglio.
L’esposizione si inserisce nell’ambito della diciottesima edizione della Milanesiana, kermesse ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, che sarà presente all’inaugurazione al fianco dell’artista insieme a Gianpaolo Donzelli della Fondazione Meyer e ad Alberto Zanobini, direttore dell’ospedalino, per il progetto «Bambini nel mondo», al celebre medico di Fuocoammare Pietro Bartolo, «al critico Vittorio Sgarbi, allo scrittore Crocifisso Dentello e al collezionista Giuseppe Iannaccone che è stato il primo «suggeritore» del tema migrazioni per le opere di Iudice e che ha curato l’allestimento fiorentino.
Sono dipinti tanto «vivi» da sembrare fotografie. «Miro a riproporre in chiave drammatica gli sbarchi che io stesso vedo da casa mia a Gela da 15 anni» spiega l’artista. Sbarchi che nei suoi quadri «ti vengono incontro: non sei tu a guardare loro ma loro a guardare te». Alcune rappresentano, o meglio raccontano, «visioni notturne del carnaio umano che si riversa sulla spiaggia, volti atterriti che spuntano da veri oblò di carrette di mare, orme che calpestano la sabbia con piedi insanguinati, lastre di vetroresina bianche dalle imbarcazioni forate».
La mostra stessa è una «storia» nel senso che Iudice segue e racconta gli arrivi dei barconi sulle coste siciliane da quasi vent’anni e li dipinge «come un reportage da una prima linea di osservazione». Ha iniziato dipingendo i bagnanti sulle spiagge siciliane, scene di vita di tutti i giorni che vedeva dalla finestra di casa, «la corporeità e la quotidianità della vita di spiaggia». E da quella suggestione, quando i flussi migratori sono aumentati in modo esponenziale, il suo mecenate Giuseppe Iannaccone «mi ha suggerito di proseguire nella ricerca del tema del corpo andando a Lampedusa a studiare questo fenomeno». Non c’è un esplicito atto di denuncia politica nei suoi lavori, quanto invece «una visione sociale, e ahimè un po’ profetica — aggiunge — perché quando ho iniziato non avevamo ancora idea di quanto sarebbe esploso il fenomeno».
Nel 2011 alla Biennale di Venezia la sua opera Umanità fu paragonata al Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo e ribattezzato Il Quinto Stato. Lui la spiega così: «Lavoro a una visione sociale, non a un manifesto politico».