DOMANDE SU UN’INCHIESTA
Se il procuratore della Repubblica di Massa fosse un emulo dei pretori d’assalto, l’inchiesta che ha condotto all’incriminazione di numerosi Carabinieri della Lunigiana con pesanti capi d’accusa potrebbe sembrare dettata da preconcetti nei confronti dell’Arma o smania di protagonismo. Ma le parole con cui Aldo Giubilaro ha presentato alla stampa gli sviluppi dell’inchiesta possono essere lette come una dichiarazione di stima per la Benemerita, sia pur commista a delusione per il comportamento di alcuni suoi membri. Del resto, ferma restando anche per i Carabinieri quella presunzione d’innocenza che non si nega ai rei dei peggiori crimini, dalle intercettazioni divulgate emergono un delirio di onnipotenza, un appello all’omertà, una logorrea che niente possono avere a che fare con un’Arma i cui membri si sono sempre fatti vanto di essere usi «obbedir tacendo». Compito della magistratura è stabilire quanto delle parole rubate dai microfoni faccia parte di un vero disegno criminoso o sia derubricabile a mitomania (o a vanteria). Resta il fatto che fenomeni come questi inducono a pensare se qualcosa non abbia funzionato nei filtri selettivi rispetto ai tempi in cui più che ai titoli di studio si badava a una severa anamnesi familiare e se non sarebbe il caso di ricordare più spesso ai militi che vestire un’uniforme comporta innanzitutto maggiori doveri, perché chi la indossa rischia di screditare con il proprio comportamento anche l’istituzione cui appartiene. Sarebbe ipocrita però escludere che dietro fenomeni come questo si nasconda un disagio diffuso, nato dalla delusione per l’inanità degli sforzi di contrasto alla criminalità. Il milite che si è sdato per cogliere in flagrante lo spacciatore e poi non si vede convalidato il fermo e si ritrova l’indomani la stessa persona continuare beffarda la stessa attività matura una frustrazione che può sfociare ora in un accidioso disincanto, ora in maldestre velleità da giustiziere della notte. I magistrati, è vero, applicano le leggi; ma c’è da chiedersi se certe norme, pensate più per evitare il sovraffollamento delle carceri che per tutelare la sicurezza dei cittadini, siano compatibili con situazioni di grave allarme sociale e se delitti come lo spaccio di droga, dalle conseguenze devastanti sui giovani, possano essere trattati alla stregua di reati bagatellari. Altrimenti si rischia di replicare trame di vecchi film anni ’70, stile La Polizia incrimina, la legge assolve. Ma l’Italia di oggi non chiede repliche: ha solo un disperato bisogno di guardare al futuro.