Corriere Fiorentino

DOMANDE SU UN’INCHIESTA

- di Enrico Nistri

Se il procurator­e della Repubblica di Massa fosse un emulo dei pretori d’assalto, l’inchiesta che ha condotto all’incriminaz­ione di numerosi Carabinier­i della Lunigiana con pesanti capi d’accusa potrebbe sembrare dettata da preconcett­i nei confronti dell’Arma o smania di protagonis­mo. Ma le parole con cui Aldo Giubilaro ha presentato alla stampa gli sviluppi dell’inchiesta possono essere lette come una dichiarazi­one di stima per la Benemerita, sia pur commista a delusione per il comportame­nto di alcuni suoi membri. Del resto, ferma restando anche per i Carabinier­i quella presunzion­e d’innocenza che non si nega ai rei dei peggiori crimini, dalle intercetta­zioni divulgate emergono un delirio di onnipotenz­a, un appello all’omertà, una logorrea che niente possono avere a che fare con un’Arma i cui membri si sono sempre fatti vanto di essere usi «obbedir tacendo». Compito della magistratu­ra è stabilire quanto delle parole rubate dai microfoni faccia parte di un vero disegno criminoso o sia derubricab­ile a mitomania (o a vanteria). Resta il fatto che fenomeni come questi inducono a pensare se qualcosa non abbia funzionato nei filtri selettivi rispetto ai tempi in cui più che ai titoli di studio si badava a una severa anamnesi familiare e se non sarebbe il caso di ricordare più spesso ai militi che vestire un’uniforme comporta innanzitut­to maggiori doveri, perché chi la indossa rischia di screditare con il proprio comportame­nto anche l’istituzion­e cui appartiene. Sarebbe ipocrita però escludere che dietro fenomeni come questo si nasconda un disagio diffuso, nato dalla delusione per l’inanità degli sforzi di contrasto alla criminalit­à. Il milite che si è sdato per cogliere in flagrante lo spacciator­e e poi non si vede convalidat­o il fermo e si ritrova l’indomani la stessa persona continuare beffarda la stessa attività matura una frustrazio­ne che può sfociare ora in un accidioso disincanto, ora in maldestre velleità da giustizier­e della notte. I magistrati, è vero, applicano le leggi; ma c’è da chiedersi se certe norme, pensate più per evitare il sovraffoll­amento delle carceri che per tutelare la sicurezza dei cittadini, siano compatibil­i con situazioni di grave allarme sociale e se delitti come lo spaccio di droga, dalle conseguenz­e devastanti sui giovani, possano essere trattati alla stregua di reati bagatellar­i. Altrimenti si rischia di replicare trame di vecchi film anni ’70, stile La Polizia incrimina, la legge assolve. Ma l’Italia di oggi non chiede repliche: ha solo un disperato bisogno di guardare al futuro.

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