«NON BASTA PIÙ CAMMINARE ACCANTO SERVE LA RINCORSA»
Una società diversa Serve un salto etico, ma per farlo bisogna rimettere ral centro la persona
Pubblichiamo due stralci tratti dalle conclusioni del libro «La città plurale» di Don Giovanni Momigli (ed. Tau, 123 pagine, 10 euro) in cui l’ex parroco di San Donnino, fondatore di Spazio Reale, racconta della sua sfida nell’accoglienza e per l’integrazione degli stranieri nella comunità.
Una sfida, quella posta dalle migrazioni, che esige un tessuto comunitario coeso e saggezza relazionale, per aiutare le diverse identità personali, etniche, culturali e religiose, non solo a rispettarsi, ma soprattutto a diventare corresponsabili di quella che ormai è storia comune. Dove le relazioni sono guidate solo dall’emotività o dagli interessi immediati e dove il tessuto comunitario è assente o carente, ogni processo di integrazione diviene assai difficile se non impossibile.
Prima ancora di concretezza dei percorsi, è necessario un sostanziale cambiamento di atteggiamento, che consiste nell’abbandonare ogni tentativo di mantenere a ogni costo quello da cui veniamo e che ci ha portati ad essere quel che siamo, per aprirsi verso un domani che si costruisce mettendo in comune proprio la nostra storia e quel che oggi siamo.
Non basta solamente confrontarsi. Non è sufficiente camminare accanto. C’è bisogno di fare la strada insieme. L’unicità di cui ciascuno è portatore, è bisognosa di relazione ed è chiamata a contribuire alla crescita comune. «Nel mondo contemporaneo, di cui nessuno può negare gli aspetti fortemente individualistici, la relazionalità umana è un tema di primo piano» (…) perché è «la relazione con l’altro che fonda identità personale e insieme la apre a un significato universale».
Ritengo che la frontiera contemporanea dell’impegno, vista come autentica sfida culturale, vada individuata nella dinamica costruzione dell’unità civica della città plurale. Per frontiera non intendo un ambito particolare, uno specifico avamposto, ma la comunità concreta colta nella quotidianità del suo vivere. La vita ordinaria e quotidiana dei singoli, delle famiglie e delle varie formazioni sociali, che compongono quella rete che costituisce e anima la città e la società intera.
È nella quotidianità che ciascuno è chiamato a domandarsi cosa si può e si deve effettivamente cambiare e ad assumersi le tante piccole responsabilità che l’oggi domanda. Senza attendere che sia l’altro a fare il primo passo. La cifra che caratterizza il vivere delle persone, e anche il loro operare, in questa fase storica, non è il compattamento attorno ai grandi fini, ma la frammentazione. Allora, anche per ritrovare uno scopo alto e comune, penso si debba e si possa ripartire proprio il frammento, per poter ridisegnare nuovi modi di pensare e di vivere e, quindi, anche di operare. Piccoli gesti legati a un grande sogno, potranno contribuire anche a ritrovare la comunanza di un cammino attualmente individualizzato, separato, frammentato. (...)
Non appare pertanto sufficiente avere città sempre più digitali ed efficienti. Quel che appare necessario ed urgente è un risveglio etico e una creativa progettualità, che ispiri i grandi processi di trasformazione e che spinga e guidi la crescita con e verso una più alta qualità della convivenza.
Osservando quanto sta avvenendo, sembra che per fare quel salto etico, culturale, sociale e anche politico, che appare sempre indispensabile per affrontare le sfide del presente, ci si debba ancora mettere in posizione per prendere la rincorsa. Un salto che appare impossibile, senza una visione complessiva e strategica coniugata con la concretezza della vita quotidiana di persone e famiglie. Un salto impossibile se non si rimettono al centro la persona e il bene comune dei cittadini, orientando in tal senso le grandi e piccole scelte e le concrete modalità operative della nostra quotidianità. Tuttavia, senza questo salto, l’intero fenomeno migratorio rischia di rimanere senza un governo capace di trasformare in risorsa per l’intera comunità, le indubbie problematiche ad esso legate. Senza questo salto, l’integrazione vera non potrà che rimanere un concetto astratto, solo una serie di tentativi. Solo un’affermazione o una vaga speranza.