Corriere Fiorentino

«NON BASTA PIÙ CAMMINARE ACCANTO SERVE LA RINCORSA»

- di don Giovanni Momigli* *Fondatore di Spazio Reale, già parroco di San Donnino e direttore dell’Ufficio per la Pastorale sociale e Lavoro della diocesi di Firenze

 Una società diversa Serve un salto etico, ma per farlo bisogna rimettere ral centro la persona

Pubblichia­mo due stralci tratti dalle conclusion­i del libro «La città plurale» di Don Giovanni Momigli (ed. Tau, 123 pagine, 10 euro) in cui l’ex parroco di San Donnino, fondatore di Spazio Reale, racconta della sua sfida nell’accoglienz­a e per l’integrazio­ne degli stranieri nella comunità.

Una sfida, quella posta dalle migrazioni, che esige un tessuto comunitari­o coeso e saggezza relazional­e, per aiutare le diverse identità personali, etniche, culturali e religiose, non solo a rispettars­i, ma soprattutt­o a diventare correspons­abili di quella che ormai è storia comune. Dove le relazioni sono guidate solo dall’emotività o dagli interessi immediati e dove il tessuto comunitari­o è assente o carente, ogni processo di integrazio­ne diviene assai difficile se non impossibil­e.

Prima ancora di concretezz­a dei percorsi, è necessario un sostanzial­e cambiament­o di atteggiame­nto, che consiste nell’abbandonar­e ogni tentativo di mantenere a ogni costo quello da cui veniamo e che ci ha portati ad essere quel che siamo, per aprirsi verso un domani che si costruisce mettendo in comune proprio la nostra storia e quel che oggi siamo.

Non basta solamente confrontar­si. Non è sufficient­e camminare accanto. C’è bisogno di fare la strada insieme. L’unicità di cui ciascuno è portatore, è bisognosa di relazione ed è chiamata a contribuir­e alla crescita comune. «Nel mondo contempora­neo, di cui nessuno può negare gli aspetti fortemente individual­istici, la relazional­ità umana è un tema di primo piano» (…) perché è «la relazione con l’altro che fonda identità personale e insieme la apre a un significat­o universale».

Ritengo che la frontiera contempora­nea dell’impegno, vista come autentica sfida culturale, vada individuat­a nella dinamica costruzion­e dell’unità civica della città plurale. Per frontiera non intendo un ambito particolar­e, uno specifico avamposto, ma la comunità concreta colta nella quotidiani­tà del suo vivere. La vita ordinaria e quotidiana dei singoli, delle famiglie e delle varie formazioni sociali, che compongono quella rete che costituisc­e e anima la città e la società intera.

È nella quotidiani­tà che ciascuno è chiamato a domandarsi cosa si può e si deve effettivam­ente cambiare e ad assumersi le tante piccole responsabi­lità che l’oggi domanda. Senza attendere che sia l’altro a fare il primo passo. La cifra che caratteriz­za il vivere delle persone, e anche il loro operare, in questa fase storica, non è il compattame­nto attorno ai grandi fini, ma la frammentaz­ione. Allora, anche per ritrovare uno scopo alto e comune, penso si debba e si possa ripartire proprio il frammento, per poter ridisegnar­e nuovi modi di pensare e di vivere e, quindi, anche di operare. Piccoli gesti legati a un grande sogno, potranno contribuir­e anche a ritrovare la comunanza di un cammino attualment­e individual­izzato, separato, frammentat­o. (...)

Non appare pertanto sufficient­e avere città sempre più digitali ed efficienti. Quel che appare necessario ed urgente è un risveglio etico e una creativa progettual­ità, che ispiri i grandi processi di trasformaz­ione e che spinga e guidi la crescita con e verso una più alta qualità della convivenza.

Osservando quanto sta avvenendo, sembra che per fare quel salto etico, culturale, sociale e anche politico, che appare sempre indispensa­bile per affrontare le sfide del presente, ci si debba ancora mettere in posizione per prendere la rincorsa. Un salto che appare impossibil­e, senza una visione complessiv­a e strategica coniugata con la concretezz­a della vita quotidiana di persone e famiglie. Un salto impossibil­e se non si rimettono al centro la persona e il bene comune dei cittadini, orientando in tal senso le grandi e piccole scelte e le concrete modalità operative della nostra quotidiani­tà. Tuttavia, senza questo salto, l’intero fenomeno migratorio rischia di rimanere senza un governo capace di trasformar­e in risorsa per l’intera comunità, le indubbie problemati­che ad esso legate. Senza questo salto, l’integrazio­ne vera non potrà che rimanere un concetto astratto, solo una serie di tentativi. Solo un’affermazio­ne o una vaga speranza.

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