Corriere Fiorentino

«Il mio spettacolo nato dopo la malattia della mamma»

La storia La malattia della mamma, le paure, gli esami e una vita sempre più intensa Gherardo Vitali Rosati racconta come è nato il suo spettacolo che debutta a San Miniato

- di Gherardo Vitali Rosati

Cinque anni fa, dopo l’estate, stavo lavorando al mio primo «vero» progetto teatrale, Fumo Blu. Ho sempre mille difficoltà di concentraz­ione e così mi dividevo fra la biblioteca delle Oblate e quella del British, con il cellulare quasi sempre spento. In una pausa, trovo una chiamata di mia madre. Lavora sempre molto e per telefono ci sentiamo poco, sempre alle stesse ore. Non era una di quelle. Ma non ci faccio troppo caso e rientro in sala consultazi­one, contento di riuscire a mettere in fila delle scene teatrali sensate. Altra pausa, altra chiamata, e ancora non riesco a rispondere. Mia madre è un medico, e quando è in ambulatori­o evito di chiamarla, così continuo a rimandare.

La notizia mi arriva il giorno dopo. Sono a casa, rispondo al telefono e scopro la parola «meningioma». In poche ore mi faccio una cultura, e imparo molte cose su vari tipi di tumori. Hanno nomi strani che di per sé dicono poco, e poi noi ne abbiamo avuti vari in famiglia. Ma un conto è la nonna, che un po’ te l’aspetti possa accaderle qualcosa, un altro è la mamma, in piena forma, e che potesse ammalarsi proprio non ci avevi pensato. Questa parola, oggi cristallin­a, indica un cancro al cervello. Ma lei minimizza. «Domani vado dal mio collega neurochiru­rgo, è un amico. Vedrai che mi fissa subito l’operazione». Faccio finta di crederci e parto per un convegno a Napoli. Da quel momento, le chiamate diventano più regolari e le informazio­ni più dure. Il tumore è profondo, l’operazione rischiosa, meglio andare a Milano per una specie di radioterap­ia, tanto potente da chiamarsi radio-chirurgia. Ma anche lì niente. Ci sono rischi e possibili conseguenz­e. Inizia così un periodo tragicomic­o di consulti con specialist­i e guru della disciplina,

Nasce da un’esperienza personale, un evento doloroso che si trasforma in una occasione di crescita, lo spettacolo dell’autore e critico teatrale Gherardo Vitali Rosati che lunedì inaugura la Festa del Teatro di San Miniato (ore 21.30, replica il 27). Si intitola «La Cura», è una coproduzio­ne dell’Istituto del Dramma Popolare con il Teatro delle Donne, e vede in scena un cast di ottimi attori, come Elena Arvigo, Alberto Giusta, Dalila Reas e Luca Tanganelli. Pubblichia­mo il testo che Vitali Rosati ha scritto per il «Corriere Fiorentino», con cui collabora: è il racconto del dramma che all’improvviso ha colpito la sua famiglia, ma che ha regalato momenti inaspettat­i di gioia e di speranza.

ognuno dei quali propone una soluzione diversa. Io mi sgancio da convegni e quant’altro per vedere in faccia questi signori e provare a capirci qualcosa. C’è sempre mio padre, medico anche lui e ottimo guidatore, non ci sarebbe bisogno di me, ma ci voglio essere. Andiamo a Siena, e poi a Pisa, Verona, Milano, Torino, Udine... Qualcuno dice che l’operazione non è poi così difficile, altri suggerisco­no altri tipi di radioterap­ie — scopro che ne esistono un’infinità — molti parlano di centri specializz­ati all’estero. E quindi mio padre manda mail ad Hannover, a Tokyo, negli Stati Uniti. Finalmente facciamo una riunione di famiglia, via skype — mio fratello vive in Canada e vogliamo esserci tutti, almeno virtualmen­te. Decidiamo per il genio della neurochiru­rgia, una specie di star giapponese che anche in Italia organizza degli interventi privati. Per fortuna c’è l’assicurazi­one.

Ma il finale non è buono o cattivo, solo complesso e incomprens­ibile. Dopo otto ore di intervento il tumore è ancora lì, tale e quale. Lui dice col suo inglese nipponico che non ci vedeva niente, tutto era pieno di sangue e di nervi. Io ringrazio davvero di cuore perché la mamma è viva e vegeta. Pensiamo quindi di riprovare l’operazione, cerchiamo di capire cosa non abbia funzionato e come andare avanti. Poi le cose cambiano, da sole. Perché intanto sono passati mesi e quella massa è sempre uguale, non è cresciuta di un micron. D’altronde il tumore si era scoperto per caso, e non ha mai provocato alcun sintomo. E così decidiamo per il Wait and Watch: una risonanza magnetica ogni tot mesi e basta.

Facile vivere con una bomba a orologeria nel cervello! All’inizio se la mamma restava sola per un pomeriggio eravamo tutti in allerta. Poi ci si abitua, almeno io, lei chissà. E intanto ti accorgi che qualcosa è cambiato. Che quando hai sospeso, costretto dalle circostanz­e, ogni impegno di lavoro, hai trovato anche cose belle, prima mai assaporate. E ti dici che intanto che siete tutti vivi, qualunque cosa accada, potresti anche provare a viverli quei momenti, anche senza ospedali intorno. In tutto quel tour tra gli oncologi nostrani, hai parlato di cellule impazzite e delle opzioni per farle calmare, ma hai anche riso e scherzato. E in questi frangenti un sorriso assume un senso diverso, una intensità maggiore. Quei giorni quando sul telefono ti appare qualcosa di lavoro e ti chiedi come sia possibile. Che cosa c’entri il lavoro lì dentro. Che senso abbia, in fondo, il tuo lavoro.

Così ho deciso di raccontare questa storia con i mezzi che conosco meglio, quelli del teatro. E mentre mia mamma riscopriva una vita diversa, assaporand­osi ogni giorno con nuovo entusiasmo, ho iniziato a scrivere un nuovo testo. L’ho chiamato La Cura, pensando non tanto alle medicine, ma piuttosto a questa nuova consapevol­ezza. Mi sono ispirato alla realtà per inventare personaggi e situazioni diverse. Ho immaginato un figlio ribelle, Mathieu, scappato via da sua madre per contrasti adolescenz­iali, una sorella più tranquilla e obbediente, Chiara, anche lei lontana per l’università. E ho provato a vedere in che modo questa malattia potesse riunirli. In più c’è anche un quarto personaggi­o, Marco, un violinista bon viveur, colpito dalla stessa malattia, con cui nasce una speciale amicizia. Tutto è accennato, stilizzato, perché in cinquanta minuti è difficile raccontare di più e poi temevo la retorica. Non so se ci sono riuscito, ma almeno un senso, mi pare, l’ha avuto. Così, a pochi giorni dal debutto a San Miniato, affrontiam­o le difficoltà che come sempre precedono uno spettacolo con Elena Arvigo, la protagonis­ta, che mi dice sempre: «Ricordati perché l’hai scritto».

 Sono a casa, rispondo al telefono e scopro la parola meningioma Inizia così un periodo tragicomic­o di consulti con specialist­i e guru della materia

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 ??  ?? Una delle illustrazi­oni di Federica Rugnone per lo spettacolo «La Cura» in scena alla Festa del Teatro di San Miniato
Una delle illustrazi­oni di Federica Rugnone per lo spettacolo «La Cura» in scena alla Festa del Teatro di San Miniato
 ??  ?? «La Cura», testo e regia di Gherardo Vitali Rosati debutta il 26 e il 27 giugno a San Miniato, a luglio andrà in scena al 60° Festival dei 2Mondi di Spoleto e a settembre a Calenzano per il Teatro delle Donne
«La Cura», testo e regia di Gherardo Vitali Rosati debutta il 26 e il 27 giugno a San Miniato, a luglio andrà in scena al 60° Festival dei 2Mondi di Spoleto e a settembre a Calenzano per il Teatro delle Donne
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