La Città metropolitana deve ripartire dai suoi confini
«Ma che confini ha/ una Città metropolitana?». Parafrasando Battisti (e chiedendogli scusa) viene da domandarsi davvero fin dove arrivi la Città metropolitana di Firenze. Non è un dettaglio, i confini sono uno degli elementi necessari a definire qualche tipo di sviluppo si cerchi e quindi a quali interventi convenga dare la priorità. A lanciare il sasso è stato Vincenzo Di Nardo, vicepresidente nazionale Ance, i costruttori di Confindustria, a margine dell’assemblea annuale degli industriali fiorentini. «Quando si pensa allo sviluppo della Città metropolitana, bisognerebbe pensare ai confini della stessa. Le esigenze del polo produttivo dell’Osmannoro non sono quelle di Palazzuolo sul Senio». Riflessioni condivise in via Valfonda durante la discussione sulle osservazioni al Piano strategico della Città metropolitana. Gli industriali hanno chiesto — oltre ad un’accelerata su aeroporto, fiera e stadio — di affrontare il tema della mobilità e dei collegamenti con le aree industriali, da quelle vicine come l’Osmannoro a quelle più lontane. E poi di decongestionare il centro di Firenze. Di promuovere altre aree per il turismo, collegando più facilmente Prato con il capoluogo. Un’idea di area metropolitana, Firenze-Prato-Pistoia, più che di Città metropolitana. In questa fase di attesa della prossima legislatura, dopo la bocciatura del referendum costituzionale, forse bisognerebbe provare ad alzare il dibattito sugli strumenti istituzionali: la Città metropolitana è la Provincia sotto altro nome (ma con molte meno risorse)? In più il sindaco metropolitano è eletto come figura di secondo livello. E se la dimensione dello sviluppo è metropolitana, o di area vasta, forse bisognerebbe riconsiderare anche questo aspetto, chiedendo ai cittadini chi vogliono che li guidi verso il 2030.