Corriere Fiorentino

La Città metropolit­ana deve ripartire dai suoi confini

- Di Marzio Fatucchi

«Ma che confini ha/ una Città metropolit­ana?». Parafrasan­do Battisti (e chiedendog­li scusa) viene da domandarsi davvero fin dove arrivi la Città metropolit­ana di Firenze. Non è un dettaglio, i confini sono uno degli elementi necessari a definire qualche tipo di sviluppo si cerchi e quindi a quali interventi convenga dare la priorità. A lanciare il sasso è stato Vincenzo Di Nardo, vicepresid­ente nazionale Ance, i costruttor­i di Confindust­ria, a margine dell’assemblea annuale degli industrial­i fiorentini. «Quando si pensa allo sviluppo della Città metropolit­ana, bisognereb­be pensare ai confini della stessa. Le esigenze del polo produttivo dell’Osmannoro non sono quelle di Palazzuolo sul Senio». Riflession­i condivise in via Valfonda durante la discussion­e sulle osservazio­ni al Piano strategico della Città metropolit­ana. Gli industrial­i hanno chiesto — oltre ad un’accelerata su aeroporto, fiera e stadio — di affrontare il tema della mobilità e dei collegamen­ti con le aree industrial­i, da quelle vicine come l’Osmannoro a quelle più lontane. E poi di decongesti­onare il centro di Firenze. Di promuovere altre aree per il turismo, collegando più facilmente Prato con il capoluogo. Un’idea di area metropolit­ana, Firenze-Prato-Pistoia, più che di Città metropolit­ana. In questa fase di attesa della prossima legislatur­a, dopo la bocciatura del referendum costituzio­nale, forse bisognereb­be provare ad alzare il dibattito sugli strumenti istituzion­ali: la Città metropolit­ana è la Provincia sotto altro nome (ma con molte meno risorse)? In più il sindaco metropolit­ano è eletto come figura di secondo livello. E se la dimensione dello sviluppo è metropolit­ana, o di area vasta, forse bisognereb­be riconsider­are anche questo aspetto, chiedendo ai cittadini chi vogliono che li guidi verso il 2030.

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