Michele Satta e il bivio di Bolgheri «O il nostro genio o i fondi cinesi»
L’eretico del sangiovese ha raddoppiato gli spazi, per produrre le stesse 170 mila bottiglie «Oggi mi prendo qualche rivincita, ma intorno vedo la deriva di una logica tutta industriale»
Lui c’è sempre stato. Festeggia 40 anni di «pratica artigianale» tra le vigne più quotate al mondo. E invece di abbassare la guardia, investe. Michele Satta, storico produttore di Bolgheri, ha raddoppiato la cantina per un investimento di 1,3 milioni di euro ma continua a produrre lo stesso numero di bottiglie, circa 170 mila. La sua azienda è una terrazza privilegiata che offre un panorama a 360 gradi, vigne, colline e mare. Oggi, grazie all’affiancamento dei figli Giacomo e Benedetta, Michele Satta percepisce il futuro con più leggerezza.
Una vita non facile la sua, «meticcio» tra le grandi famiglie «di razza» del vino toscano, a cui però ha sempre tenuto testa. Irriducibile «servo» della vocazione alla vigna. Allievo di Giacomo Tachis ed Attilio Scienza, aveva 18 anni quando affiancò il primo fattore, la prima vendemmia è del 1974, nove anni dopo la prima vendemmia personale, con vigne in affitto. Oggi è riconosciuto nel mondo per aver dato vita — assieme al marchese Incisa della Rocchetta, agli Antinori, a Piermario Meletti Cavallari e Eugenio Campolmi — al miracolo Bolgheri.
«Bolgheri è nata senza radici, per casualità si è piantato dei vitigni a taglio bordolese e la storia è iniziata. Io sono una mosca bianca in questo territorio: da sempre professo e concretizzo lo sviluppo del sangiovese. Oggi mi prendo qualche rivincita, c’è un’inversione di tendenza: gli americani, per esempio, mi chiedono il sangiovese. Qualche giorno fa un ristorante stellato di Parigi ha voluto inserire il Cavaliere (sangiovese in purezza, ndr) nella sua carta». I risultati sono evidenti, arrivarci è stato però tutt’altro che semplice: «Penso di aver dato tanto a Bolgheri e di essere stato ingabbiato in una sorta di dimensione un po’ folcloristica». Satta rivendica con orgoglio il suo esser stato pioniere: «Sono stato un esploratore col vermentino nell’84, e anche con il syrah, il primo a pensare a dei bianchi, come il viognier, tipologie oggi diventate una risorsa economica importantissima. Ho praticato la fermentazione a legno aperto e ho guardato alla Borgogna. Mi sento un punto di coscienza, questo sì». Il figlio Giacomo gli ha giurato amore eterno. Agronomo, a 26 anni, parla di stile e personalità. «Sono un fan del monovitigno o meglio dei vini che esprimono a pieno la territorialità in cui nascono. Qua procediamo in questo senso, lasciando libera espressione alla terra e alla vigna, mettendo anche da parte le leggi di mercato».
Negli anni Settanta il vino era considerato un alimento, oggi vive la globalizzazione che si mescola con la confusione del linguaggio. «Questa cantina è un nuovo punto di partenza — continua Satta — uno spazio di incontro, comunicazione, accoglienza ed esperienza. Ho sempre cercato di mettere me stesso nelle bottiglie. Il problema semmai è nel saperlo comunicare nell’era dei social, dei super consulenti, diventa tutto amplificato». Lui resta con i piedi piantati a Bolgheri. «Sono sempre orgoglioso di abitarci. Lo vedo come un dono. Non mi sento imbarazzato ad ammettere però che c’è ancora tanto da fare, percepisco uno stato di agitazione attorno, quasi disorientamento. Credo che Bolgheri patisca tutte le tentazioni dell’epoca moderna tra cui l’impiego del denaro che, essendo prepotente di natura, pensa di ottenere risultati applicando logiche industriali come il consulente, la pubblicità, la comunicazione a pagamento… La deriva del grande numero, del grande successo, della grande distribuzione e della tecnica che schiaccia la dimensione personale del vino. Però dall’altro lato vedo anche una strada nuova, positiva, legata alla dimensione familiare, al genio personale all’italiana con la volontà di fare anche piccoli numeri». Siamo a un bivio, spiega Satta: «Da un lato grandi investitori e logiche di puro mercato e dall’altro produttori artigiani. La domanda oggi è: Bolgheri in futuro sarà roba per i fondi cinesi amministrati da consulenti o roba su cui i nostri figli potranno far crescere i propri figli? Rubo una frase a Giacomo: bisogna resistere fino al sangue».
Sono sempre orgoglioso di abitare qui, lo vedo come un dono Ma credo che Bolgheri patisca tutte le tentazioni dell’epoca moderna, la deriva del grande numero, del successo